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Lotte operaie in TURCHIA

La lotta degli operai della Tekel

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  1. Eduardo20
     
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    Qui di seguito un articolo sulla lotta degli operai della Tekel in Turchia. La storia della lotta viene fatta direttamente da uno dei protagonisti, un operaio della Tekel, che riporta con ricchezza di dettagli tutto lo svolgimento di quella che è stata una delle più importanti lotte di questa fase di ripresa del nuovo millennio. Eduardo

    Se i sindacati sono dalla nostra parte, perché ci sono 15.000 poliziotti antisommossa fra noi e loro?


    Gli scioperi della Tekel sono scarsamente conosciuti a livello internazionale in seguito al black-out mediatico promosso dalla borghesia. La classe dominante preferisce ovviamente puntare i proiettori su tutte le espressioni di nazionalismo (che in genere alimenta essa stessa) e passare sotto silenzio le manifestazioni di solidarietà operaia tra lavoratori di diverse origini etniche, culturali, religiose … Chiediamo perciò a tutti i nostri lettori di far circolare tra di loro tutte le informazioni disponibili su questa lotta.

    Il 2 marzo, malgrado tutte le nostre obiezioni, i capi del sindacato ci hanno fatto smontare le tende e la strada di fronte al quartier generale della Turk-Is[1] è stata sgombrata mentre a noi veniva detto di tornare a casa. 70-80 di noi sono rimasti ad Ankara per valutare assieme cosa si poteva fare nei tre giorni seguenti. Dopo questi tre giorni, 60 di noi sono tornati nelle loro città d’origine, mentre gli altri 20, tra cui io stesso, sono rimasti ancora per due giorni. Così, benché la lotta di Ankara sia durata 78 giorni, noi siamo rimasti 83 giorni. Abbiamo convenuto che avremmo dovuto lavorare duro per far progredire la lotta, ed anch’io alla fine sono tornato ad Adiyaman. Fin dal mio ritorno da Ankara, 40 di noi sono andati a far visita ai nostri fratelli e sorelle di classe implicati nello sciopero di Cemen Tekstil a Gaziantep. La lotta della Tekel era un esempio per la classe. Come lavoratore della Tekel ero fiero e pensavo anche che avremmo potuto fare di più per la nostra classe e che dovevo contribuire a questa lotta. Benché la mia situazione economica non me lo permettesse e nonostante l’esaurimento prodotto dagli 83 giorni di lotta e da altri problemi, dovevo fare l’impossibile per spingere il processo il più avanti possibile. Quello che dovevamo fare era costituire un comitato ufficiale e prendere la lotta nelle nostre mani. Anche se non avessimo potuto formalizzarlo, dovevamo comunque crearlo prendendo contatto con i lavoratori di tutte le città poiché dovevamo tornare ad Ankara il 1° aprile.

    Dobbiamo andare dovunque possibile per raccontare alla gente la lotta della Tekel nei minimi particolari. Per questo dobbiamo formare un comitato ed unirci alla classe. Il nostro compito è più difficile di quello che sembra! Da una parte abbiamo a che fare con il capitale, dall’altra sia con il governo che con i leader sindacali. Dobbiamo lottare tutti nel miglior modo possibile. Anche se la nostra situazione economica non è buona, anche se siamo fisicamente affaticati, se vogliamo la vittoria, dobbiamo lottare, lottare, lottare!!!

    Benché fossi stato lontano dalla mia famiglia per 83 giorni, sono rimasto a casa soltanto per una settimana. Sono andato ad Istanbul per parlare con la gente della resistenza della Tekel, senza neanche poter vedere mia moglie ed i miei figli. Abbiamo fatto parecchie riunioni del comitato informale dei lavoratori della Tekel, specialmente a Diyarbakir, Izmir, Hatay, ed io ho partecipato a numerose riunioni con compagni della commissione informale ad Istanbul. Abbiamo avuto riunioni all’Università Mimar Sinan, una nella scuola alberghiera di Sirinevler, una nell’edificio del sindacato dell’Industria, abbiamo avuto discussioni con dei piloti ed altri lavoratori dell’aeronautica del movimento dissidente Rainbow dell’Hava-Is (un sindacato), ed abbiamo incontrato dei salariati del tribunale. Abbiamo anche incontrato il presidente del Partito della pace e della democrazia (PDP) di Istanbul e gli abbiamo chiesto che i lavoratori della Tekel potessero prendere la parola in occasione della festa di Newroz. Le riunioni sono state tutte molto calorose. La nostra richiesta al PDP è stata accettata e mi hanno chiesto di partecipare alle manifestazioni di Newroz come oratore. Poiché dovevo ritornare ad Adiyaman, ho suggerito che un compagno operaio di Istambul parlasse al posto mio. Mentre ero ad Istanbul ho fatto visita ai vigili del fuoco in lotta, agli operai della Sinter Metal, ai lavoratori comunali d’Esenyurt, agli scioperanti del giornale Sabah e dell’ATV, l’ultimo giorno, ai lavoratori in lotta del Servizio delle Acque e delle Fogne di Istanbul (ISKI). Con questi operai abbiamo discusso per una mezza giornata su come potevamo far crescere la lotta ed abbiamo anche fornito loro informazioni sulla lotta alla Tekel. Gli operai della ISKI mi hanno detto che hanno cominciato la lotta grazie al coraggio dato loro dai lavoratori della Tekel. Durante la settimana che ho trascorso ad Istanbul, ovunque andassi, alle manifestazioni o a visitare i posti dove si lottava, sentivo dire sempre: “Abbiamo preso coraggio grazie alla Tekel”, cosa che mi rendeva molto felice. Il tempo trascorso ad Istanbul ha arricchito molto anche me stesso. Ci sono state purtroppo anche delle cose negative: uno dei miei parenti è purtroppo morto, ma ho deciso di non partire e di restare tutta la settimana come previsto.

    Per parlare delle cose più nere di questo periodo, 24 studenti, fratelli e sorelle di classe, sono stati espulsi dalla loro università (Mehemetcik High School) per avere sostenuto la lotta della Tekel. Inoltre ad Ankara, una delle nostre sorelle di classe del Consiglio della Ricerca Scientifica e Tecnologica della Turchia (TUBITAK), Aynur Camalan, è stata uccisa. Quando il capitale ci attacca in questo modo, noi, operai, senza alcuna pietà, ci dobbiamo unire contro di lui. Così, abbiamo fatto due comunicati sulla stampa ad Adiyaman mostrando che i nostri amici non erano soli. Ci siamo anche preparati per la manifestazione del 1° aprile. I capi sindacali volevano andare ad Ankara con 50 persone da ogni città, per un totale di un migliaio di persone. Come comitato informale abbiamo aumentato questo numero da 50 a 180 soltanto a Adiyaman ed io stesso sono arrivato ad Ankara con altri dieci operai il 31 marzo. Nonostante tutte le dichiarazioni dei sindacati per limitare il numero a 50, siamo riusciti a permettere che venissero 180 lavoratori (siamo stati noi e non i sindacati a coprire le spese), perché sapevamo come i sindacati volevano manipolare, come avevano già fatto prima. Abbiamo avuto riunioni con molte organizzazioni di massa, associazioni e sindacati. Siamo andati a trovare Aynur Camalan, l’operaia di TUBITAK, che aveva perso il lavoro.

    Il 1° aprile ci siamo riuniti a Kizilay (il centro di Ankara, la capitale della Turchia, NDT), ma abbiamo dovuto fare molti sforzi per arrivare fino alla strada di fronte alla Turk-Is, perché 15.000 poliziotti stavano in difesa dell’edificio. Cosa facevano tutti questi poliziotti tra noi e il sindacato? Ora, dobbiamo chiedere a quelli che si ergono contro di noi anche quando parliamo dei dirigenti sindacali, anche quando diciamo che i sindacati dovrebbero essere messi in discussione: se c’è un potente sbarramento di 15.000 poliziotti tra noi ed il sindacato, perché esistono i sindacati? Se voi pensate che sia del tutto naturale che la polizia protegga il sindacato ed i dirigenti sindacali, questo non significa forse che il sindacato ed i sindacalisti proteggono il governo ed il capitale? I sindacati non esistono forse solo per mantenere sotto controllo i lavoratori per conto del capitale?

    Il 1° aprile, malgrado tutto, 35-40 di noi sono riusciti a superare la sbarramento, uno dopo l’atro, per ritrovarsi nella via di fronte alla Turk-Is. Il nostro scopo era avere una certa maggioranza e fare in modo che nostri altri amici ci raggiungessero, ma purtroppo abbiamo fallito: la nostra maggioranza non poteva negoziare con 15.000 poliziotti. Il sindacato aveva precedentemente dichiarato che soltanto 1.000 di noi dovevano venire ad Ankara. Con il comitato informale siamo riusciti ad aumentarne il numero a 2.300. 15.000 poliziotti bloccavano la strada a 2.300 persone! Ci siamo riuniti in via Sakarya. Eravamo pronti a passarvi almeno la notte, con tutti coloro che erano venuti ad incoraggiarci. Durante la giornata, siamo stati attaccati due volte dalla polizia con gas irritanti e manganelli. Il nostro obiettivo era trascorrere la notte per strada di fronte al quartier generale della Turk-Is, ma quando ci siamo scontrati con la polizia siamo rimasti in via Sakarya. Ma durante la notte i sindacalisti hanno silenziosamente e sornionamente invitato i nostri compagni operai a lasciare la regione. Ci siamo ritrovati in una minoranza. I sindacalisti ci hanno chiesto due volte di lasciare la zona, ma non abbiamo ascoltato l’appello dei dirigenti sindacali ed una minoranza di noi è restata. Quando i simpatizzanti sono andati via verso le 23.00, anche noi siamo dovuti andar via.

    Ci doveva essere un comunicato stampa il 2 aprile. Quando siamo stati sul punto di entrare in via Sakarya, verso le 9 di mattina, siamo stati attaccati dalla polizia che ha di nuovo utilizzato gas al pepe e manganelli. Un’ora dopo un centinaio di noi è riuscito a superare la sbarramento e fare un sit-in. La polizia non la smetteva di minacciarci. Noi abbiamo continuato a resistere. La polizia ha dovuto alla fine aprire lo sbarramento e siamo riusciti ad unirci all’altro gruppo che era restato fuori. Abbiamo iniziato ad andare verso la Turk-Is, ma i dirigenti sindacali hanno fatto il loro comunicato alla stampa a 100 metri dal quartier generale della Turk-Is. Senza tener conto della nostra insistenza i dirigenti sindacali non sono scesi in strada davanti alla Turk-Is. Il sindacato e la polizia si sono trovati mano nella mano e così alcuni di noi non hanno potuto alla fine andare dove volevano andare. C’era un punto interessante tra le cose dette dai sindacalisti. Avevano detto che saremmo ritornati il 3 giugno e saremmo rimasti di fronte alla Turk-Is per tre notti. Sarebbe interessante sapere come saremmo riusciti a restarvi 3 notti, quando noi non eravamo riusciti a restarci neanche una sola notte. La polizia doveva prima di tutto proteggere i sindacalisti da noi ed aiutarli a scappare ed allora noi ci siamo ritrovati da soli con la polizia. Nonostante le minacce e le pressioni della polizia non ci siamo dispersi e siamo stati nuovamente attaccati con gas al pepe e manganelli ed alla fine abbiamo dovuto disperderci. Nel pomeriggio abbiamo ricevuto una corona funebre, fatta da alcuni fiorai per condannare la Turk-Is ed il governo, che abbiamo lasciato sulla facciata della Turk-Is.

    Cari fratelli e sorelle di classe, la questione che abbiamo di fronte è: se ci sono 15.000 poliziotti che formano uno sbarramento tra il sindacato e gli operai, perché esistono i sindacati? Dichiaro a tutti i miei fratelli e sorelle di classe che se vogliamo la vittoria dobbiamo lottare insieme. Noi operai della Tekel abbiamo acceso una scintilla e tutti insieme ne faremo un’enorme palla di fuoco. In questo senso, per esprimere il mio rispetto per tutti voi, ci tengo a finire il mio testo con una poesia[2]:

    Il vapore del the s’invola mentre le nostre vite sono ancora fresche
    Gli abiti formano una catena lunga come strade, e non c’è che il dispiacere che ritorna
    Una ciotola di riso, dicono che il nostro cibo è atterrato sulle nostre case
    I desideri diventano strade, strade, da dove viene il lavoro
    La fame è per noi, il freddo è per noi, la povertà è per noi
    Hanno invocato il destino, vivere con lui è per noi
    Noi che produciamo, noi che abbiamo fame, noi che siamo nudi di nuovo
    Non abbiamo scritto noi questo destino, siamo noi che lo spezzeremo di nuovo
    Noi, lavoratori della Tekel diciamo che, anche se la nostra testa tocca il suolo, lasceremo sempre un futuro onorevole per i nostri figli.

    Un lavoratore della Tekel di Adiyaman

    [1] Confederazione dei sindacati Turchi

    [2] E’ sempre difficile tradurre una poesia. Speriamo di non averne alternato troppo il senso né la musicalità (ndr)
     
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  2. Eduardo20
     
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    Questa è la presentazione fatta a Sesto S. Giovanni, Milano, il 6 luglio scorso, da un operaio della Tekel sulle lotte che si sono prodotte in Turchia, di fronte ad una delegazione di lavoratori della INNSE di Lambrate. Questo incontro tra delegazioni della Tekel e della INNSE fa parte di un tour che questo operaio della Tekel ha fatto in Europa per far conoscere le lotte condotte dagli operai in Turchia e per trasmettere il forte messaggio di fratellanza e di solidarietà di cui queste lotte sono state espressione. Poiché io ho avuto l’occasione di partecipare a questo incontro, ho preso meticolosamente delle note nell’ottica di poter a mia volta cercare di diffondere il messaggio di lotta che questo compagno ha voluto trasmettere. Riporto questa presentazione sotto la mia personale responsabilità (non è stata rivista dal compagno che l’ha presentata per ragioni pratiche – difficoltà di contatto, di lingua …), ma essa è in parte garantita dall’articolo che è pubblicato in questa stessa pagina e che è stato scritto dalla stessa persona fisica e che tratta dello stesso argomento. Mi rendo conto che non tutti i passaggi sono chiarissimi, ma preferisco riportarli così come li ho trascritti, piuttosto che manipolarli rischiando di falsificare il messaggio che vi era contenuto. A presto, Eduardo

    Presentazione sulla lotta degli operai della Tekel all’incontro tra un operaio della Tekel e il comitato “Giù le mani dalla INNSE” a Milano

    Operaio Tekel: vengo dal Kurdistan dove 50.000 persone sono state uccise, 17.000 persone sono state fatte fuori da forze sconosciute. Molti paesi sono stati bruciati. Porto il saluto dei lavoratori del Kurdistan a tutti voi. La lotta è iniziata nel 2000. Anche prima c’erano manifestazioni in molte città. Prima ci sono state riunioni centrali a Istambul e ad Ankara di operai di varie città. Il fatto che fossero manifestazioni di 1 giorno non ha destato interesse in nessuno. Per esempio nel paese in cui abito, di 150.000 persone, abbiamo organizzato riunioni di 40.000 persone. La privatizzazione della Tekel è cominciata nel 2000, il settore alcool è stato privatizzato nel 2007. Abbiamo occupato le fabbriche di alcool, i sindacati si sono messi in moto per imbrogliare i lavoratori. Il tabacco è stato privatizzato nel 2008, nel 2009 questo reparto era chiuso definitivamente e la Tekel era finita. Una parte degli operai volevano fare qualcosa, ma altri frenavano. Ma quando il primo ministro ha insultato gli operai, allora anche quelli che frenavano si sono messi in moto. La Turchia è un paese islamico e l’insulto era di dire che i lavoratori non lavoravano e mangiavano a sbafo a spese degli orfani. La manovra del governo era di evitare che altri operai arrivassero a sostenere la lotta. Ma l’effetto fu che anche gli operai esitanti alla fine vennero in sostegno della lotta. La prima cosa che si è vista è la dimissione degli operai dal partito di governo. Tutti hanno salutato le loro famiglie, hanno preso le coperte e sono partiti per Ankara. Siamo partiti il 14 dicembre. La polizia ha bloccato noi curdi per 5 ore dicendo che mentre gli operai turchi potevano entrare in città, gli operai curdi non potevano farlo. Ma gli operai di origine turca sono stati molto corretti e hanno detto che senza i curdi non sarebbero entrati neanche loro. E questo è il primo principio che si è affermato nella lotta. Il primo giorno siamo andati all’edificio principale di Ankara e la polizia ci ha attaccato cercando, senza riuscirci, di disperderci. Abbiamo rifiutato di andare via e siamo andati in un centro sportivo. Eravamo 8000. Abbiamo dormito per terra. La mattina abbiamo dovuto rompere le porte per uscire perché le avevano bloccate. La polizia voleva portare via gli operai con gli autobus. Poi ci hanno attaccato un’altra volta. A causa di questo attacco gli operai erano divisi in due gruppi. Metà sono andati alla sede dell’AKP e un’altra altrove. La polizia ha detto agli uni che gli altri volevano andare a casa, ma non ci abbiamo creduto.
    INNSE: ma quanti poliziotti c’erano?
    Operaio Tekel: tre volte il nostro numero all’incirca. Abbiamo parlato al telefono con altri gruppi facendo presente la necessità di riunirci. Il gruppo davanti all’edificio dell’AKP voleva spostarsi nel parco. Pioveva e uno spostamento di 10 minuti è stato trasformato in un viaggio di 5 ore. Pensavano di scoraggiarci, ma siamo riusciti a unirci all’altro gruppo. Pioveva, ma abbiamo dormito nel parco riparandoci dalla pioggia con le buste di plastica della spazzatura. La polizia ci ha minacciato e di pomeriggio ci ha attaccato con idranti, peperoncino e manganelli. Molti operai sono stati feriti e ce ne sono alcuni che ancora adesso soffrono per le ferite riportate in questa occasione. Dopo tre giorni alcuni operai hanno cominciato ad avvertire segni di irritazioni cutanee e si è pensato che la polizia avesse potuto usare qualche sostanza chimica irritante nell’acqua degli idranti. Ma più tardi la stampa ha scoperto che il motivo era che l’acqua usata dagli idranti era acqua di fogna e la polizia è stata costretta ad ammetterlo. In seguito agli attacchi della polizia ci sono stati anche dei dispersi nei vari quartieri della città. Ma gli operai militanti hanno detto agli altri di raggrupparsi davanti alla sede centrale del sindacato e così abbiamo fatto. Quando i sindacati hanno visto che la polizia non riusciva a fermarci, hanno cercato di mandarci a casa loro dividendoci per città. Però gli operai hanno detto che erano venuti ad Ankara per restare. Allora abbiamo capito che il sindacato avrebbe chiamato la polizia, così 200 operai sono andati ad occupare la sede del sindacato. Il sindacato ha pensato che avremmo continuato a discutere tra di noi, per cui quando abbiamo occupato la sua sede è rimasto scioccato.
    Dopo l’occupazione i sindacalisti avevano paura e hanno deciso di fare una riunione straordinaria e hanno indetto uno sciopero di 1 ora ogni venerdì per 4 venerdì, ma è stato fatto solo una volta e poi è stato annullato.
    Era inverno, abbiamo cominciato a recuperare cose di plastica per coprirci, poi abbiamo recuperato delle stufe per scaldarci. Abbiamo messo su una vera tendopoli di fronte alla sede del sindacato con finanche dei televisori ed altre cose. Siamo stati lì per 78 giorni e siamo stati capaci di reggere tanto tempo grazie alla solidarietà della gente. Per 20 anni non ci sono state molte lotte in Turchia e prima che scoppiassero le lotte della Tekel, se una persona veniva licenziata non c’era niente da fare. Avevamo raggiunto tra di noi un’unità molto forte. Eravamo così uniti che gli uomini hanno dimenticato di essere uomini e le donne di essere donne. Per un paese islamico una donna non può mangiare con gli uomini, per questo può rischiare la morte, ma in questo caso non è stato così. Uomini e donne hanno dormito assieme, appoggiati l’uno all’altro, laddove questo in altre occasioni sarebbe stato assolutamente proibito.
    INNSE: c’è una differenza tra uomini e donne?
    Operaio Tekel: si. Ad esempio i luoghi dove si prende il te sono separati per gli uomini e le donne. Lo Stato ha cercato di mettere operai turchi e operai curdi gli uni contro gli altri, ma non ci sono riusciti. La lotta ha mostrato che non c’è differenza tra gli uni e gli altri. Dovunque si trovi, un operaio è un operaio. Questa è una cosa che dobbiamo sottolineare. La lotta deve essere per forza internazionale. La lotta della Tekel o della INNSE da sole non bastano. Gli Operai stavano spingendo i sindacati a non limitare il numero di persone che avrebbero partecipato alla manifestazione. Quando gli operai Tekel sono andati alla manifestazione, hanno trovato davanti al palco altri operai di altri settori con funzione di cuscinetto protettivo. Noi volevano uno sciopero generale in Turchia, ma il capo sindacale ha fatto un discorso filogovernativo. Quando abbiamo visto che la parola d’ordine dello sciopero generale non era stata ripresa, abbiamo superato le transenne e siamo saliti sul palco. Chi stava parlando è dovuto scappare. 200 persone hanno occupato l’edificio del sindacato. Abbiamo cercato il capo del sindacato che, con i contributi strappati a noi operai, prende uno stipendio di 25.000 euro, ha una macchina da 75.000 euro che neanche il primo ministro si può permettere. Lui si comporta come un capo di Stato e se lo avessimo trovato gli “avremmo fatto qualche domanda”.
    Abbiamo ricevuto solidarietà dal Kurdistan, dalla Turchia, dall’Europa e dagli USA. Non abbiamo ricevuto niente del sostegno inviatoci tramite sindacato, ma solo quello fornito direttamente agli operai. C’erano le donne che portavano cibo e coperte. Il governo ci ha minacciato ogni giorno dicendo che dovevamo lavorare secondo il 4C, se non volevamo perdere il lavoro. 600 euro per un lavoro a tempo pieno. Questa legge dice che potevamo lavorare da 3 a 10 mesi l’anno per 350€. Sono strane le leggi in Turchia se uno pensa che, in caso di morte, alla vedova viene garantito un sussidio di ben 700€ al mese a vita. Come dire che un operaio vale più da morto che da vivo.
    INNSE: ma adesso la produzione è ferma?
    Operaio Tekel: una volta c’erano 15 fabbriche di alcool, 12 di tabacco, 42 di sigarette. Adesso sono rimaste solo due fabbriche, ma con altri operai. Lo Stato adesso vuole mandare i vecchi operai a lavorare in altre fabbriche utilizzando la legge del 4C. Invece gli operai lottano per mantenere le vecchie condizioni di lavoro.
    INNSE: ma perché hanno chiuso queste fabbriche?
    Operaio Tekel: lo Stato serve gli interessi del capitale. Per cui il governo chiude le fabbriche per riaprirle altrove dove la forza lavoro costa di meno. Nel 2009 il consumo di sigarette era di 15 miliardi di $.
    INNSE: c’è stata una pubblicizzazione di queste lotte da parte dei mass-media?
    Operaio Tekel: solo una parte della stampa ha pubblicato notizie sugli scioperi. A causa del sostegno della stampa comunque gli scioperi erano noti in tutta la Turchia e forse in tutto il mondo. Ma anche parlando degli scioperi la stampa non ha riportato tutto. La stampa ha mostrato la sofferenza degli operai sotto la pioggia, ma non ha parlato degli atti di solidarietà. Il fatto che gli operai turchi hanno ripetutamente detto alla stampa che se avevano retto per tanto tempo era stato proprio grazie alla solidarietà non è stato mai riportato. Abbiamo ricevuto un grande sostegno da parte di tutta la Turchia. Per esempio c’era un operaio in pensione che ha portato tutti i suoi soldi (350€) in sostegno, ma gli operai glieli hanno restituiti perché quello era tutto quello che lui aveva. Il giorno dopo lo stesso pensionato è tornato con tanti viveri comprati con quei soldi che il giorno prima non avevamo voluto accettare. Le donne preparavano tanto cibo. C’erano studenti che hanno offerto ospitalità, che ci hanno permesso di fare docce, ecc …
     
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1 replies since 20/7/2010, 23:47   178 views
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