Napoli Oltre

A proposito di violenza 4

Ricostruzione della discussione avvenuta dal 04/03/2010 ore 20:13 al 11/03/2010 ore 00:34

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    stefanot
    Inviato il: 4/3/2010, 20:13

    Carissimi,
    purtroppo mi vedo costretto a fare un intervento che non avrei voluto fare, molto lungo ma spero per tutti interessante.
    Ma visto che Bogdanov continua a considerare questo Forum un posto dove poter fare la sua guerra privata contro gli esponenti di un’organizzazione e contro l’organizzazione stessa, e che ogni volta che qualcuno gli ricorda che questo è un forum di tutti e non un posto dove poter fare ognuno quello che gli pare senza rispettare i tempi e le difficoltà di ponderazione e di risposta di tutti gli altri, lui li chiama “replicanti”, li accusa di essere sotto tutorato, insomma riporta il tutto alla sua “polemica” (così la definisce lui) con la CCI, ignorando tutti gli altri e lasciando credere a chi legge chissà quali atroci angherie e/o censure abbia dovuto “in privato” sopportare dall’organizzazione e dai suoi militanti…
    Vorrei fare un po’ di chiarezza, anche se il mio è il punto di vista di un tutorato, replicante, incapace di avere una opinione propria, ma sono in buona compagnia, e cioè con la quasi totalità dei partecipanti al Forum che, anche se tacciono in pubblico, so essere perfettamente certi della reale vocazione democratica della CCI, esclusi ovviamente i verbosi, citazionisti (si cita quando si pensa che la propria idea non abbia “forza”), volutamente prolissi e autoreferenziali Lucio e Bogdanov (caro B non voglio che né tu né nessun’altro scrivano cose su ordinazione - come mi domandi tu - , ma avrei desiderato che ti fossi comportato accorgendoti che esistevano anche gli altri e che provavano difficoltà a seguire i dibattiti, per tempo, energia, conoscenza ecc. ma “oggettivamente” in difficoltà, ma tant’è: hai ridotto il dibattito a un dialogo anzi, con l’aiuto di Lucio, in alcuni casi ad un monologo (ma per questo ci sono i Blog e non i Forum … chiedi a Lucio che è un esperto : frequenta, infatti - fra forum, blog e riviste in internet - ben 67 siti(!) anche se non è stato in tutti ben accetto, ma che dico perché chiedere a lui quando anche tu sei un esperto frequentatore di siti internet, blog, forum, enciclopedie anche tu con qualche clamoroso “insuccesso” e con qualche esemplare espulsione per insulti e prevaricazioni …)
    Quando ho cominciato questa mia conoscenza con le persone che si riunivano intorno alla CCI (parlo dell’aprile del 2008) ero molto scettico, e lo esternai durante la riunione di quel giorno intero di discussione, era presente anche Bogdanov (e alcuni dei partecipanti del Forum) e fu proprio lui a dirmi che la presenza della CCI a quell’incontro era solo garanzia di ordine nel procedere nella discussione ma che il tutto, e lui lo sapeva perché erano anni che li frequentava, si sarebbe svolto in maniera democratica e sicuramente proficua.
    Io continuai a discutere, sempre con un po’ di diffidenza … erano anni (da quando avevo 14 anni) che nel mio impegno politico, sindacale, sociale, associativo mi ero sempre imbattuto in personaggi o organizzazioni che tendevano a ridurre le discussioni e gli incontri a semplici ratificazioni di cose già decise in altri luoghi (io stesso quando ho ricoperto posizioni di dirigenza all’interno di associazioni e circoli mi sono trovato a dover fare prima riunioni in cui si decideva come sarebbero dovute poi andare le riunioni o assemblee di base …).
    Ebbi anche una piccola polemica a proposito di un intervento di Bogdanov sulla necessità di usare un linguaggio più alla portata di tutti e meno per “addetti ai lavori”, più dubitativo e meno esaustivo in quanto arrestava il dibattito anziché incoraggiarlo vista la presenza per la prima volta sia mia che di altri.
    Ebbene alla fine della giornata fui contento di poter dire che Bogdanov aveva avuto ragione (non per l’intervento distruggi dibattito, ma per l’opinione sulla presenza della CCI) e che quell’incontro mi aveva fatto uscire arricchito, con la chiara sensazione che tutti coloro i quali vi avevano preso parte avevano liberamente esposto i loro dubbi, le loro difficoltà così come tutti, mi sembrò, ci si rendesse conto che ci sarebbero voluti tanti di quegli incontri per dare a tutti coloro i quali lo desiderassero la possibilità di fare come avevamo fatto noi quel giorno.
    Da quel giorno ho preso a frequentare le riunioni pubbliche organizzate dalla CCI (e spesso Bogdanov era preziosamente presente con i suoi interventi sempre molto stimolanti e pieni di riferimenti storici e ai “grandi del pensiero marxista”), e sempre ho trovato quel “clima” che ricercavo da anni e che mai avevo trovato (tanto da comunicare anche ad altri l’esperienza che stavo vivendo) in nessuna organizzazione, circolo, comitato di quartiere, sindacato, associazione …
    Siamo così arrivati alla riunione di un’intera giornata del 25 aprile 2009, altra giornata molto proficua e intensa dalla quale è stato partorito un volantino in cui ci definivamo:
    “Un gruppo di lavoratori, studenti, precari, disoccupati, cassintegrati … che il 25 aprile hanno scelto di stare insieme per conoscersi e confrontarsi. Perché abbiamo pensato a un volantino? Chi vogliamo raggiungere, e perché? Vogliamo spiegare a tutti quello che abbiamo capito, quello che noi “riteniamo giusto”, vogliamo, più semplicemente, comunicare, a quante più persone possibile, che ci siamo riuniti il 25 aprile (invece di andare al mare o di partecipare a qualche manifestazione “commemorativa”, vivendoci da soli la nostra “depressione”); e che in questa riunione, a livelli diversi fra di noi, abbiamo cominciato a “chiarirci”, a “discutere” in maniera diversa su cose che stanno profondamente angosciando e “condizionando” la nostra esistenza. Vogliamo raggiungere le tante persone che, forse, come noi sentono la necessità di “chiarirsi” e di non “sentirsi soli” di fronte ad attacchi sempre più duri alla propria vita ed invitarli a riflettere, ad incontrarsi, a discutere, perché no, magari con noi …”
    Volantino che abbiamo dato collettivamente (c’erano anche persone venute solo in occasione del 25 aprile) durante la manifestazione del 1° maggio (e Bogdanov c’era) e nei giorni successivi sui luoghi di lavoro, fra gli amici, via mail un po’ in tutta Italia ecc. invitando gli interlocutori a mettersi in contatto con noi su di una mail che avevamo apposto aperta (giorgioalbano)
    Tale volantino e il resoconto della giornata di discussione sono stati anche postati dalla CCI sul proprio sito ed infatti siamo stati poi contattati da persone che l’avevano letto e che l’avevano trovato interessante.
    Non è quindi un segreto che la CCI sia stata sempre al nostro fianco e individualmente dentro il nostro gruppo di discussione ma sempre in maniera dialettica e costruttiva e mai in maniera egemonica o coartante.
    D’altra parte noi stessi come gruppo di discussione abbiamo nel nostro documento intitolato “Chi siamo” detto:
    “Ci siamo riuniti il 25 aprile (invece di andare al mare o di partecipare a qualche manifestazione “commemorativa”, vivendoci da soli la nostra “depressione”) per cominciare a dare una prima risposta ad una delle esigenze che sentiamo molto forte e pressante: la totale mancanza di momenti di discussione e di chiarimento collettivi sempre più delegati a partiti, organizzazioni e associazioni, all’interno delle quali i momenti di discussione collettiva sono sempre più dei meri momenti di facciata dove non vi è reale confronto né reale voglia di ascoltare l’altro.
    In questa riunione, a livelli diversi fra di noi, abbiamo cominciato a “chiarirci”, a “discutere” in maniera diversa su cose che stanno profondamente angosciando e “condizionando” la nostra esistenza.
    Questa intera giornata di incontro e di dibattito ha rappresentato un reale esempio di autentico dibattito in cui ognuno ha potuto esprimere le proprie preoccupazioni, i propri dubbi, ed anche le proprie convinzioni senza mai sentirsi né giudicato, né tantomeno prevaricato.
    Potrà sembrare poca cosa, ma ditemi: dove vi capita (o vi è capitato in passato) di poter discutere in maniera tanto aperta da percepire chiaramente la voglia di tutti di ascoltare tutti nel tentativo di chiarirsi attraverso un reale confronto collettivo?
    Da anni, ormai, molti di noi prendendo parte a riunioni di organizzazioni sindacali, di associazione o di partito ne uscivamo sistematicamente depressi, “svuotati”.
    Ci recavamo a questi eventi con tanta voglia di fare, di discutere, di incontrare altri simili a noi … e ne uscivamo profondamente demotivati, con un grande senso di impotenza … da “ricostruire”.
    Noi crediamo che siano tanti quelli che sentono un gran senso di impotenza di fronte a quanto accade, di fronte agli attacchi di un sistema che ci vuole sempre più semplici clienti, semplici esecutori, sempre più depressi e deprimenti, sempre più gli uni contro gli altri, spaventati nel presente e insicuri del futuro proprio e dei propri cari, facendoci sentire “complici” di un organizzazione della vita che non ci appartiene ma che inevitabilmente ci condiziona; con un “opposizione” politica e sindacale sempre più inefficace, volutamente distante dall’esigenze reali nostre e dei nostri figli.
    Cosa fare? Dove andare? Con chi vedersi?
    Sempre di più sembra che il “problema” sia solo tuo, che “quello strano” sei tu, gli altri, quelli incasellati nel Sindacato, nel partitino, nell’associazione di categoria, sembrano aver trovato un loro “equilibrio” … far “finta di essere sani” … ma poi, quando si sta da soli … in tanti sono quelli che stanno “male” che “cercano” , ecco perché crediamo che comunicare a coloro che cercano che c’è una possibilità nuova, diversa di incontrarsi, discutere, lottare, sia importantissimo.
    Un primo volantino, scaturito dalla discussione del 25 aprile e distribuito alla manifestazione del Primo Maggio ma poi anche inviato via mail, o consegnato a mano è stato a nostro avviso importante non solo per il fatto che ha rappresentato la sintesi di un bel momento di incontro, di confronto e di riflessione di classe, ma anche, e soprattutto, perché è risultato essere uno strumento utilissimo per avvicinare un gran numero di persone comunicandogli che non sono sole e che, se vogliono, possono aggregarsi a noi con tutti i loro dubbi, le loro più profonde preoccupazioni, le loro incertezze perché troveranno tante altre persone che come loro non vogliono più viversi la barbarie che avanza sentendosi soli e sopraffatti, per meglio comprendere che le domande che essi si pongono, che tutti noi ci poniamo, non sono individuali, “senza legame con il passato ma sono da collegare a tutta l’esperienza storica del movimento di classe.”
    Ecco perché, dato che crediamo che questa esperienza non vada sottovalutata né lasciata disperdersi ma viceversa coltivata, abbiamo dato vita a questo gruppo di discussione aperto a chiunque abbia “realmente” esigenza di incontrarsi con pezzi di società che hanno cominciato a discutere e confrontarsi in maniera libera ed autonoma, aperto alle tante persone che, forse, come noi sentono la necessità di “chiarirsi” e di non “sentirsi soli” di fronte ad attacchi sempre più duri alla propria vita.
    Al momento questo gruppo di discussione si incontrerà una volta al mese in una riunione pubblica comunicando nel frattempo attraverso la casella di mail [email protected]
    Il passaggio dalla mail al Forum è stato un passaggio naturalmente scaturito dai dibattiti delle riunioni del Gruppo di discussione come strumento più idoneo e sicuramente più incisivo, in quanto dava la possibilità di “incontrarsi” e confrontarsi tutti i giorni senza dover aspettare le riunioni sempre difficili da organizzare e da concordare perché potessero essere presenti tutti.
    Anche qui, e non è un segreto, la CCI ci ha dato una mano soprattutto nella pubblicizzazione del Forum e, quando è stato loro offerto il ruolo di uno dei moderatori è stato decisamente rifiutato, ritenendo loro opinione che i moderatori fossero espressione del gruppo stesso.
    Ricordo che in una riunione pubblica in cui ci fu dato un po’ di tempo come Gruppo che non riusciva ad incontrarsi e a decidere il giorno della riunione venne detto da un militante della CCI, visto che c’era confusione fra riunioni dell’organizzazione e riunioni del gruppo: “Quando venite alle riunioni pubbliche indette dall’Organizzazione avete come referente la CCI, come Gruppo di discussione abbiamo come referente il mondo”.
    Il Forum è stato da me creato, su delega del Gruppo, con varie pagine, in modo che tutti, a qualsiasi “livello” di conoscenza e di “capacità” espressiva fossero, potessero trovare il proprio spazio di espressione e di dibattito.
    L’unica vera “regola”, non scritta, ma insita in quello che ci eravamo detto, era che bisognava lasciare a tutti la possibilità di esprimersi e di intervenire senza mai sentirsi né giudicati, né prevaricati.
    Ebbene , quando, avendo considerato che la presenza continua e massiccia di interventi un po’ troppo per “addetti ai lavori” stava riducendo il forum a cosa per pochi intimi, qualcuno si è permesso di dirlo si è scatenato, come in un film horror, una violenza verbale piena di acrimonia e di sottintesi che davano a pensare che quella violenza contro un utente del forum fosse quasi “personale”, ma non era del tutto così, ora è chiaro che l’attacco di Bogdanov non è al Forum e ai suoi utenti, anche se ne sono i maggiori danneggiati, ma alla CCI.
    Evidentemente a noi appare come uno scoppio improvviso ma forse la partecipazione di Bogdanov prima alle riunioni del Gruppo, poi alla mail giorgioalbano, e poi al forum facevano parte di un disegno ben preciso, un disegno di egemonia politica prima e di scontro con la CCI poi (il primo gli è andato male, quello dell’egemonia su di un gruppo che ritiene di “pecoroni” e quindi facilmente manovrabili, c’è riuscito solo con Lucio, di per sé propenso a vedere anche nelle sue pantofole nemici di classe pronti ad impedirgli di “vomitare” le sue elucubrazioni che non ha alcuna intenzione di mettere alla prova con altri attraverso un vero dibattito, ma che devono dagli altri essere “subite” come verità così come accade quando leggiamo gli articoli dei giornali borghesi, o forse il vero problema è che si sente insicuro delle sue reali capacità tanto da dover sempre avere un “pubblico” di ammiratori! E quando non si sente più ammirato cancella tutto e se ne va!)
    Anche se non è chiaro il perché per anni Bogdanov frequenti la CCI, ne parli bene, la difenda, prenda parte a tutte le sue iniziative e poi … si scagli contro di loro come se fossero il peggior male esistente al mondo … Forse (come dicevo prima) ha pensato potessero impedirgli di rigirare questo gruppetto di pecore? Ebbene, non è la CCI che glielo impedisce ma la capacità dei singoli di discernere fra chi prevarica e chi no, fra chi è violento e chi no, fra chi cerca di manipolare e chi no.
    Mi dispiace per te, caro Bogdanov, ma quelli che tu hai definito mesi fa dei veri proletari che si stanno riunendo e cominciando a darsi delle reali risposte condivise su cosa accade e su come comportarsi, beh, purtroppo per te, hanno imparato anche a capire chi veramente ha a cuore le sorti di chi oggi soffre e subisce e del futuro dell’umanità, e chi invece ha solo mire di “capetto” manipolatore.
    Scrivo queste cose perché è ormai chiaro, anche con la totale cancellazione di tutti i loro interventi, come Bogdanov e Lucio vogliano lasciare il Forum da “vittime”, con un “colpo di teatro”, lasciando a terra solo i resti di una battaglia tanto proditoria quanto inutile.
    Un caro saluto a tutti
    Stefano

    fraccomodino
    Inviato il: 4/3/2010, 22:56

    Cari tutti, vi riporto qui una mail che mi è arrivata, da parte di Bogdanov via forum, sulla mia mail privata. A me ha fatto venire da ridere, voi che ne pensate?
    "Ciao fraccomodino,
    Bogdanov (www.forumfree.it/?act=Profile&MID=5076187) ti ha spedito questa email tramite i servizi di https://napolioltre.forumfree.it/.
    Egregio Signore,
    non sapendo chi Lei né da quali reali intenzioni sia mosso, Le comunico la mia indisponibilità a discutere sulla base dei Suoi limiti e delle Sue interpretazioni di comodo. E' la seconda volta che Lei recita il ruolo del replicante. La prima Le ho risposto educatamente, considerando che poteva anche trattarsi di buona fede. Adesso, siccome non lo penso, Le dichiaro la mia totale indisponibilità al dialogo con Lei."
    Ho letto e apprezzato i due ultimi interventi di Scwalbe e Stefano. Aggiungo che la cancellatura degli interventi da parte di Bogdanov e Lucio non è un gesto di stizza, ma ha sicuramente lo scopo di impedire ad altri interlocutori, che ne avessero la pazienza e la voglia, di ricostruire la discussione come si è effettivamente svolta (e quindi cosa loro hanno veramente difeso). Io invece spero che la discussione continui, perchè, come ho detto in altri precedenti interventi, sono convinto che la questione della natura umana è importante, ed è legata alla prospettiva del comunismo.

    Bogdanov
    Inviato il: 6/3/2010, 14:41

    Caro Piero,
    non sono in grado di entrare nel merito della questione “teorica” di cui si occupa questa discussione, di mestiere sono penalista e ti dò il mio parere in merito alla vicenda che mi hai riportato al punto 4 della tua e-mail.
    L’organizzazione CCI, in data 8.2.2010 ti scrive:
    “Abbiamo perciò rivisitato tutta la discussione, ma alla fine non ci risulta nessun abuso formale o sostanziale da parte del nostro compagno nella discussione e certamente non ritroviamo elementi che possano giustificare la formulazione di accuse così gravi come quelle che hai rivolto al nostro compagno.”
    Ciò costituisce un evidente giudizio di fatto. Il seguito è giuridicamente irrilevante.
    Che si chiedano, a seguito, chiarimenti non inficia questo fatto, anzi costituisce un aggravante in quanto questa organizzazione dice, in sostanza, di avere emesso un giudizio senza disporre dei tuoi chiarimenti e non ti sono stati richiesti prima di pronunciarsi perché si è trattato di un giudizio emesso senza che il giudicato fosse a conoscenza del procedimento.
    In secondo luogo la parte avversa è essa stessa parte costituente del collegio giudicante; è detto infatti “nostro compagno” ed è quindi presumibile che la parte avversa abbia partecipato alla formulazione di detto giudizio senza che tu ne sapessi nulla.
    Nelle more di tale procedura non risulta che vi fosse il diritto della parte giudicante, a cui la parte avversa era associata, ad emettere tale giudizio in un contenzioso che riguardava due singoli, essendo essa stata chiamata ad arbitrato da una sola delle parti, quindi un arbitrato giuridicamente invalidato dal fatto che tu non avevi esplicitamente accettato tale funzione, né avevi accettato di assegnarla a tale organizzazione. Quindi non era nel diritto di tale organizzazione chiederti chiarimenti, soprattutto dopo aver già espresso il suo giudizio.
    Si tratta di un illecito giuridico e di un abuso:
    - la parte giudicante non aveva alcun titolo ad emettere giudizi;
    - la sua funzione era inficiata dal fatto, abuso grave, che ad essa era associata una delle parti, compromettendone irrimediabilmente l’obiettività;
    - non si possono formulare giudizi senza renderne edotte entrambe le parti della procedura in atto ab initio, senza formulare contestazioni e senza averle ascoltate per iscritto o in contraddittorio;
    - non si possono chiedere chiarimenti dopo l’emissione di un giudizio a ‘copertura’ di un difetto di procedura.
    Anche se si tratta di procedure extragiudiziali, valgono comunque le regole del diritto, che qui mancano del tutto.
    Te l’ho detto in termini semplici, pratici, in modo che tu possa capire non essendo della materia.
    Ora veniamo alla sostanza. La procedure utilizzata da questa organizzazione contiene, senza dubbio alcuno, quel fumus persecutionis che tu indicavi e qualunque giurista annullerebbe tutta la procedura almeno per vizio grave di forma.
    Ho faticato a raffrontare quello che avevi scritto con quanto ti ha risposto l’altra parte, ma alla fine ne sono venuta a capo. Ciò di cui accusi la parte avversa trova giustificazione ed è sostenibile con certezza, almeno sul piano formale. Avresti potuto chiedere delle rettifiche (in realtà la parte avversa lo propose) ma a me sfugge la ragione delle manipolazioni di quanto avevi scritto, e l’altra parte, prima di proporti mediazioni,incontri o altro, avrebbe dovuto di spiegare il suo comportamento sullo stesso sito dove erano state pubblicate. Mi sfugge anche la ragione per cui non lo ha fatto.
    In alternativa si potrebbe pensare che detta organizzazione si sia costituita in quanto parte lesa; ma ciò avrebbe richiesto che essa stessa dichiarasse che quanto scritto dal suo membro fosse stato con essa concordato o che l’altra parte avesse agito su sua disposizione. Ciò non risulta dal verbale di discussione, quindi è precluso il diritto di detta organizzazione a sentirsi lesa in quanto non figurante nel contesto della vostra discussione.
    Per quanto riguarda l’ultima e-mail che mi hai mandato ieri sera, la cosa è grave, c’è una evidente diffamazione. Hai 90 giorni di tempo per costituirti in giudizio e possiamo chiedere alla Polizia Postale di identificare il responsabile anche dopo aver presentato querela per diffamazione e mendacio con facoltà di prova. Puoi chiedere condanna ed indennizzo e c’è l’obbligo perentorio di esibizione di prove da parte del diffamante. Devi però dimostrare che si riferisse precisamente a te in quanto l’uso di pseudonimi lo richiede espressamente. Chiamami appena hai deciso. A.S.

    catinap
    Inviato il: 7/3/2010, 12:00

    Caro B., leggo adesso la tua del 6/3 ed entro a far parte dei REPLICANTI. Finora sono stata una replicante silenziosa perché, per miei limiti mi sono fatta inibire dai toni "alti" del dibattito, e non sono intervenuta per REPLICARE dopo aver letto molti tuoi interventi sul forum che è di tutti, e perciò MIO.
    Ti ricordo, come più volte ha scritto l'amministratore e come ha ribadito Stefanot, che non era questo lo spirito che animava il gruppo di discussione di cui anche tu, ricordo bene?, fai parte. Non pensavamo che si dovesse aprire in questo spazio un contraddittorio/ contenzioso, si credeva invece in un confronto di idee aperto e schietto.
    Hai deciso di "togliere il disturbo" in uno dei tuoi ultimi interventi, ma poi rientri, per interposta persona (un penalista!) per dirci cosa? Per MINACCIARE un'organizzazione e uno (o più?) partecipanti al forum di adire le vie legali!?!? E per cosa?
    I toni si sono accesi, è vero, ma vogliamo vedere da quando? Ops!, non si può, hai cancellato i tuoi interventi e non si capisce più nulla.
    Io non ho elementi per giudicare il tuo contrasto con un'organizzazione (anche perché la tua corrispondenza PRIVATA con la CCI non la hai fornita), ma comunque non capisco perché io debba farlo, o altri debbano farlo.
    Cosa c'entra tutto questo con il NOSTRO forum? Militanti della CCI sono intervenuti individualmente, senza far riferimento all'organizzazione, come esseri pensanti liberi di esprimere le loro opinioni e soprattutto liberi, come tutti, di dissentire. Lo hanno fatto pubblicamente.
    Molti di coloro che si sono espressi sul forum sono stati da te definiti "sotto tutorato", io non ho Tutor.
    Il NOSTRO forum forse non è mai stato veramente NOSTRO, perché molti REPLICANTI, come me non sono intervenuti.
    Grazie B., sei quasi riuscito a trasformare qualcosa che poteva far crescere tutti noi, e anche te, in una REPLICA ( questa sì) del noto programma in onda sulle reti Mediaset.
    In attesa del pronunciamento del giudice Licheri ti saluo.
    FINALMENTE HO REPLICATO. Catinap

    schwalbe
    Inviato il: 8/3/2010, 09:13

    Incredibile bogdanov.
    Egli si sarebbe aspettato,ci fa capire, che la CCI processasse eduardo,e non gli và bene di avere avuto una risposta sul piano del dialogo politico che ovviamente funziona diversamente.
    Dopo aver ampiamente insultato stefanot non gli va bene la replica politica di questi e sembra voler intimidire,a destra e a manca, con querele ed esibizioni di amicizie nel campo forense.
    Dopo aver mancato di rispetto a tutto il forum, lo boicotta cancellando tutti i propri lunghissimi interventi.
    Si mostra marxista e poi prospetta vie legali come un piccoloborghese in una lite di condominio.
    In alternativa avrebbe invece potuto relazionarsi ai tanti utenti del forum da lui stesso oscurati con la lungaggine, oltre che all'altro moderatore, rendendo possibile una ricomposizione in exstremis.
    Anche circa la natura umana sovrappone sull' istinto originario alla manipolazione del mondo, che muove i primi cacciatori ed i comportamenti dei bambini, la molto molto separata e successiva nozione di aggressività , che pùò esistere solo contemporaneamente alla autoriflessione razionale in un momento posteriore della evoluzione materiale e psicosociale ed è pertanto sempre superabile in maniera razionale e sociale.
    Ma fondere insieme istinto alla manipolazione, ed un un giudizio di valore o categoria politica come l'aggressività naturalizzando il tutto, non significa forse vincolare o quanto meno attardare l'umanità ad una sua natura cattiva, homo homini lupus come diceva qualche pensatore della nascente epoca guarda caso, borghese?
    Ecco spiegato su due livelli bogdanov e la sua incapacità alla discussione, ed alla già citata elaborazione di una intelligenza comune
    -a presto schwalbe
    Modificato da schwalbe - 8/3/2010, 17:27

    osvaldo4s
    Inviato il: 8/3/2010, 23:41

    Mi rivolgo ai compagni che stanno discutendo sulla natura umana (ed a tutti quelli che – compagni o non - ne sono interessati) perché in accordo con Fraccomodino “… spero che la discussione continui, perché, come ho detto in altri precedenti interventi, sono convinto che la questione della natura umana è importante, ed è legata alla prospettiva del comunismo” nonostante i vari tentativi di Bogdanov di rendere non solo tale argomento incomprensibile “per noi miseri mortali ignoranti ed incapaci di sopravvivere senza tutoraggio”, ma anche per aver portato quasi al fallimento lo stesso Forum. E così, prima di procedere, voglio esprimere la mia solidarietà al compagno Eduardo, a Stefano (amministratore del Forum) ed infine alla stessa CCI tirata in ballo da Bogdanov durante tutti i suoi incredibili ed immotivati attacchi ed ingiurie. Venendo all’argomento in discussione faccio un passo indietro per ricordare a me stesso ed ad altri (se ne è il caso) da dove è venuta fuori la necessità di discutere su quest’ultimo. Se non ricordo male, questa domanda sulla natura umana è sorta inizialmente dal dubbio di qualche compagna/o sulla possibilità che l’uomo – “così come noi abbiamo la pretesa di conoscere” – possa arrivare innanzitutto a fare la rivoluzione e, una volta fatta, edificare e condividere un mondo in cui il comunismo possa essere proprio da lui realizzato. Questo quesito, posto a più riprese durante discussioni pubbliche, è stato alla fine riproposto da Lucio sul Forum come discussione sulla violenza. Proprio in una delle prime risposte all’intervento di Lucio e di Osvaldo (il sottoscritto), Bogdanov ha affermato che quest’uomo, nel corso della sua stessa evoluzione, ha dovuto per sopravvivenza, nel passaggio da raccoglitore a cacciatore, diventare predatore e quindi aggressivo e che la costituzione in classi sociali avrebbe potuto trovare anche in questo aspetto una sua giustificazione. Quindi, sembra che un tale uomo, oltre a quelle fin’ora conosciute, come l’opposizione di tutti i tipi da parte della classe dominante, la difficile presa di coscienza da parte del proletariato ecc … possa anche avere altre difficoltà legate alla sua, secondo Bogdanov, “natura genetica predatoria ed aggressiva” e quindi, dico io, seguendo il ragionamento di quest’ultimo, diventare un essere solidale con gli altri esseri viventi, visto che quest’ultimi, pur appartenenti all’identica classe sociale, si fanno concorrenza nella sopravvivenza quotidiana: e la solidarietà di classe, insieme alla sua coscienza ed unità, è una delle principali armi del proletariato per poter portare avanti la rivoluzione proletaria. Inoltre Bogdanov, parafrasando Marx dice ancora che “il problema non è interpretare l’uomo, ma trasformarlo”. Quindi se non ho capito male, l’uomo o meglio il proletariato deve essere anche educato al socialismo, altrimenti questo sarà di difficile realizzazione. Prima però di affrontare la presunta natura umana, come l’intende Bogdanov, vorrei porre subito una domanda riguardante la trasformazione dell’uomo: chi dovrebbe trasformare l’uomo? Credo che, almeno tra marxisti, sicuramente non mi saranno negati quei processi sociali ed individuali che partendo dalle condizioni materiali e dalle contraddizioni irrisolvibili all’interno del vecchio quadro borghese, consentiranno al proletariato di trasformarsi e di conseguenza di portare avanti una rivoluzione di classe per costituire poi una società liberata anche da quell’aggressività attribuitagli da Bogdanov. Però, se, come ha detto quest’ultimo, quest’aggressività, in parte, sta anch’essa alla base della costituzione di società in classi sociali di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ciò potrebbe anche non bastare per poter edificare il comunismo. Serve a questo punto l’individuazione di quel soggetto sociale che dovrebbe educare l’uomo, in un tale processo storico, a far prevalere i suoi istinti di solidarietà e reprimere quelli aggressivi, tale da non consentire l’avvento di un nuovo classismo durante e dopo la rivoluzione proletaria. Bogdanov parla, forse, di gruppi di “uomini” magari più sensibili a queste problematiche e magari dotati di istinti poco aggressivi? Mettiamo per esempio il Partito? Però a questo punto non solo si moltiplicano le domande ma si complicano anche le risposte. Innanzitutto chi avrebbe dato a questi uomini maggiore sensibilità e poca o nessuna aggressività? Sono esse stesse nella natura umana o un dono divino? E se non sono un dono divino ma sono nella natura umana dobbiamo parlare allora di diverse nature umane o di una sola? Per esempio di buoni e cattivi? E poi come farebbero questi uomini ad educare – diciamolo – il proletariato al comunismo? Forse con la forza? Ecco, io non riesco a cogliere nelle discussioni e nelle diverse opinioni di Bogdanov e di Lucio (seconda versione) sulla natura umana e sociale, che sia essa legata agli istinti o alla coscienza, una chiara e coerente visione di queste problematiche! Ed è normale, visto che non esiste (e né la pretendo subito) una bella proposizione chiara e semplificata dell’argomento. Tuttavia, però devo rigettare anche quelle teorie, o prove scientifiche di parte, che, a partire da esse, hanno dato a Bogdanov quella sfacciataggine di giudicare l’intervento di altri compagni come eretici rispetto al … marxismo. E non solo. E’ proprio a questo punto che incomprensibilmente, Bogdanov, proprio come un intellettuale piccolo borghese ferito nell’amor proprio e dimostrando di pensare a tutto tranne al motivo per il quale si sta discutendo (e per questo faccio riferimento all’intervento di Stefano), comincia ad usare argomenti incomprensibili ed ad attaccare tutti i compagni che dissentono in qualche modo dalle sue posizioni, facendo appello non ai contenuti ma alle modalità. Prima il “domenicano” Eduardo come lui lo ha definito; poi Stefano che come amministratore ha proposto delle regole, per meglio favorire il dibattito e dare l’opportunità a tutti di esprimersi, da tutti accettate, eccetto da Bogdanov e da Lucio; ha ignorato poi tutti i vari appelli alla chiarezza per lasciare spazio ad altri; ha attaccato ancora Fraccomodino dal nome “indecente”. E tutto per il semplice fatto che questi hanno cominciato ad evidenziare le sue non risposte ed a mettere in discussione le sue incoerenze. Non riporto tutte le ingiurie perché si possono trovare in maniera più dettagliate sul Forum. Proprio perché lo conosco da anni e conosco la sua pregressa correttezza, mi sembra che Bogdanov ultimamente non ci stia proprio con la testa.
    Voglio comunque rimanere in tema di natura umana e desidero anch’io aggiungere qualche cosa su ciò che Bogdanov, rispondendo a Fraccomodino, lascia intendere quando dice: “Una compagna mi ha portato un depliant da Auschwitz; forse quelle foto servono più delle parole per indagare sulla natura umana, ma si può anche non guardarle”. E ciò che lascia intendere non è proprio assimilabile a quello che quotidianamente ci propina la borghesia attraverso i suoi organi di informazioni di stampa per convincerci che l’uomo è aggressivo per cui il comunismo è impossibile? E che addossando le colpe allora al nazismo ed ad Hitler, poi all’Impero del male, ed ora alla mafia, agli immigrati, a tizio, a caio, non cerca di nascondere al proletariato le manifestazioni brutali della sua decadenza ed ultimamente della sua decomposizioni sociale? Tornando al depliant su Auschwitz, è vero, e non potrebbe essere altrimenti, alla vista di tali immagini, il primo sentimento che si prova sulla natura umana è: se questo è un prodotto della natura umana addio comunismo! Ma a pensarci bene siamo proprio sicuri che sia quella la natura umana e non la sindrome patologica di una classe sociale che ha ormai perso ogni uso della ragione e, completamente impazzita, sta trascinando l’intera umanità nel proprio suicidio collettivo? Intanto, ci raccontano, e gli esempi sono molteplici, che negli stessi campi di morte, tra gli stessi carnefici ed i perseguitati vi sono stati casi di vera solidarietà umana. E se la predica viene da quel pulpito, o meglio da quell’inferno, è proprio a questi che dovremmo fare riferimento e non alla follia di classe per incominciare a capire qualcosa sulla natura umana. Consideriamo, infatti, una delle più macroscopiche forme di pazzia collettiva di quella stessa classe (la borghesia) che si è concretizzata al momento dello scoppio della I carneficina mondiale; ora essendo questo un indiscutibile esempio storico di pratica della natura umana collettiva e di classe, ci tocca spiegare (e non è il solo esempio) il “miracolo repentino” che la rivoluzione russa del 1917 ha compiuto sulla natura umana dei proletari russi e successivamente su quelli tedeschi e la lista si allunga coinvolgendo milioni di proletari di ben altri paesi. La domanda che pongo a Bogdanov (visto che anche lui in diverse occasioni ha condiviso la realtà di questo “miracolo” e le condizioni che lo hanno determinato) è che cosa abbia potuto trasformare milioni di uomini, poco prima aggressivi, mandati in guerra cantando il proprio inno nazionale e cioè in pratica drogati ideologicamente dai loro sfruttatori, a sgozzarsi tra loro, a massacrarsi a milioni, e solo dopo qualche anno, una volta finita la sbornia nazionalista e le illusioni che essa aveva creato, nel suo opposto e cioè in un portentoso e solidale esercito proletario? (e ciò contrasta anche con le affermazioni sull’effetto delle droghe sull’aggressività proposte dagli stessi scienziati a cui fa riferimento Bogdanov!). La risposta che lo stesso Bogdanov ha sempre dato per spiegare un tale “miracolo” sociale sta nel riconoscere quell’istinto di classe innato, sicuramente fertilizzato dai rivoluzionari, ma non da essi determinato, che, su una base materialista, ha fatto maturare quella coscienza di classe, quella solidarietà, che sole possono spiegare quell’incredibile ondata rivoluzionaria proletaria internazionale tale da fermare la barbarie capitalista. Ed ancora più sorprendenti sono la nascita e la diffusione di solidarietà tra gli stessi proletari e con quegli stessi “nemici”, che fino ad un momento prima si sparavano addosso. E con i quali (e non senza di essi) si è lottato e prospettato di farla finita una volta e per sempre con la borghesia e costruire un mondo senza più guerre ed aggressività, un mondo senza più miseria, un mondo senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, un mondo comunista, dotandosi persino di un’organizzazione sociale – i soviet – in grado di realizzare questo meraviglioso mondo a cui da sempre l’umanità aspira. E non è stata “l’aggressività” proletaria a fare fallire un tale progetto, ma proprio l’intervento folle e armato di una classe decadente contro un proletariato internazionale ancora inesperto, e ciò perché si è sentita minacciata della propria sopravvivenza di classe sfruttatrice e dominante. Rispetto a “quelle certezze” che ci vengono imposte nell’immediato nell’osservare le immagini dei campi di morte, sicuramente dovremmo almeno nutrire seri dubbi e, soprattutto sulla natura umana, almeno non condividere i punti di vista che rispecchiamo quelli della classe dominante.
    Per continuare comunque la riflessione sulla natura umana forse potrebbe proprio aiutare la lettura di due articoli apparsi sul sito italiano della CCI. Il primo riguarda una discussione tenuta a Lille in Francia da giovani proletari che hanno cercato di riflettere su tale argomento e che Bogdanov ha liquidato come un insieme di posizioni incoerenti ed insignificanti (parla proprio lui!) ed il secondo è “A proposito del libro di Patrick Tort, "Effetto Darwin. Una concezione materialista delle origini della morale e della civiltà”. L’intero libro dovrebbe essere pubblicato, se non lo è già stato, anche in lingua italiana. E, riporto qualche brano relativo alla concezione antieliminatoria e cioè <<la teoria de “l’effetto reversibile dell’evoluzione”>> di Patrick Tort perché mi sembra estremamente adatto per aiutare la nostra discussione, contrariamente ai giudizi negativi su Patrick Tort dati da Bordanov: “In primo luogo, da un punto di vista filogenetico, Darwin pone l’uomo nella specie animale e in particolare suppone un antenato comune tra questo e le scimmie catarrine del vecchio Mondo. Egli estende dunque naturalmente il trasformismo alla specie umana dimostrando che la selezione naturale ha modellato anche la sua storia biologica. Tuttavia, secondo Darwin, la selezione naturale non ha selezionato solo delle mutazioni organiche vantaggiose, ma anche degli istinti, principalmente istinti sociali, in tutte le specie animali. Questi istinti sociali sono culminati nella specie umana e si sono fusi con lo sviluppo dell’intelligenza razionale (e dunque della coscienza riflessiva). Quest’evoluzione congiunta di istinti sociali e intelligenza si è accompagnata nell’uomo all’“estensione indefinita” di sentimenti morali e di simpatia altruistica. Sono gli individui ed i gruppi più altruistici e più solidali a disporre di un vantaggio evolutivo rispetto ad altri gruppi …. “Attraverso gli istinti sociali, la selezione naturale, senza 'salto' né rottura, ha selezionato così il suo contrario, e cioè: un insieme di regole, ed in estensione, di comportamenti sociali anti-eliminatori - dunque anti-selettivi nel senso che riveste il termine di selezione nella teoria sviluppata da L’origine della specie -, così correlati tra loro che un’etica anti-selezione (= anti-eliminazione) traduce in principi, in regole di condotta ed in leggi. La comparsa progressiva della morale è apparsa dunque come un fenomeno indissociabile dell’evoluzione, e qui troviamo la continuità del materialismo di Darwin e dell’inevitabile estensione della teoria della selezione naturale alla spiegazione del divenire delle società umane. Ma questa estensione, che troppi teorici, oscurati dallo schermo tessuto intorno a Darwin dalla filosofia evoluzionistica di Spencer, hanno interpretato frettolosamente sul modello semplicistico e falso del ‘darwinismo sociale’ liberale (applicazione alle società umane del principio dell’eliminazione dei meno adatti all’interno di una concorrenza vitale generalizzata), può effettuarsi, a rigore, solo sotto la modalità dell’effetto reversibile che obbliga a concepire il capovolgimento stesso dell’operazione selettiva come base e condizione dell’accesso alla ‘civilizzazione’ (…) L’operazione reversibile è anche ciò che fonda l’esatta distinzione tra natura e cultura, evitando la trappola di una ‘rottura’ magicamente posta tra questi due termini: la continuità evolutiva, attraverso questa operazione di capovolgimento progressivo legato allo sviluppo (esso stesso selezionato) degli istinti sociali, produce in tal modo non una rottura effettiva, ma un effetto di rottura che proviene da ciò che la selezione naturale ha prodotto, nel corso della sua evoluzione, essa stessa sottomessa alla propria legge - la sua forma recentemente selezionata che favorisce la protezione dei ‘deboli’, vincente perché vantaggiosa sulla sua vecchia forma che privilegiava la loro eliminazione. Il nuovo vantaggio allora non è più di ordine biologico: esso è diventato sociale”.

    fraccomodino
    Inviato il: 9/3/2010, 00:04

    Gli interventi di Swalbe e Osvaldo sono certamente interessanti e utili per la continuazione della discussione sulla questione della natura umana. Credo però che sia anche arrivato il momento di depurare questo forum dal veleno che Bogdanov continua a riversarci. Questo individuo prima ha soffocato il dibattito sotto una valanga di parole, con continui riferimenti (in verità generici) a presunte verità scientifiche da lui conosciute (così da intimidire quelli che non le conoscevano), poi, quando qualcuno ha cominciato a confutare queste sue certezze ha gridato alla mistificazione, poi ha cominciato ad insultare chi non era d'accordo con lui (domenicani, ecc.), poi ha cancellato i suoi interventi così da rendere incomprensibile la discussione a chi non l'ha potuta seguire dall'inizio, e ha continuato ad usare il forum solo per le minacciare e per inviare, alle mail private ma via forum, insulti a destra e a manca. Non è che le sue minacce ci facciano paura (a tal proposito esprimo la mia solidarietà a Stefano, che prima da solo, e poi insieme all'altro amministratore ha mostrato un grande equilibrio e ha difeso il più possibile il forum), ma credo che sia arrivato il momento di espellerlo dal forum per impedire che continui con questa sua opera nefasta. Poichè posseggo tutti gli interventi di Bodganov e di Lucio (perchè li scaricavo per poterli leggere insieme quando preparavo le risposte) propongo di ripubblicarle in un "archivio", e poi di chiedere a qualche utente di rilanciare la discussione riassumendo le posizioni (prescindendo da chi le ha difese), e quindi vedendo come la discussione stessa può continuare.
    Un saluto a tutti, fraccomodino.

    Nanà22
    Inviato il: 9/3/2010, 12:58

    Ciao a tutti, mi associo pienamente alla reazione indignata degli altri interventi, in particolare rispetto all’ultimo post del signor B. e voglio esprimere anch’io la piena solidarietà al forum, agli utenti attaccati personalmente, agli amministratori. L’unico aspetto positivo di quest’ultima uscita del signor B è l’aver tolto ogni dubbio sulla sua natura …. politica. Se esistesse un al di là, il povero Marx non potrebbe che rivoltarsi nella tomba vedendo chi, mentre blatera con tanta prosopopea di marxismo e comunismo ergendosi a difensore della "scienza proletaria", fa appello alla legge dello Stato borghese.
    Sono d’accordo che comunque la cosa più importante è riprendere una vera discussione, sulla natura umana, come inizia a fare Osvaldo nel suo intervento, ma anche su altri argomenti. (A proposito Osvaldo lo vedi che sei un replicante? Hai messo due volte il tuo intervento).
    A presto nanà

    Quagiulo
    Inviato il: 10/3/2010, 11:54

    Il tragico caso del poeta Raimondo Esposito
    Don Tommaso Landolfi, erede di grandi nobiltà napoletane nonché fine orientalista e filosofo, era tormentato da un professore di ginnastica di liceo, tale Raimondo Esposito, che, preso da passione poetica, lo chiamava nei momenti più impensati per chiedergli approvazione delle sue poesie leggendogliele al telefono.
    - Tonì, hai capito? – diceva a mio zio - stavo alzando dal piatto la seconda forchettata di un spaghetto coi purpetielli, che mi aveva preparato la mia…amica,…. un profumo di mare….na squisitezza…. quando questo disgraziato mi chiama al telefono! E sapeva pure il numero di Maddalena, il cornuto! Addio spaghetto, e che vuoi mangiare più?, si erano fatti freddi e incollati. Ma tu vedi che razza di guaio ho passato! E l’altra volta? mi chiama a casa, alle 11 di sera, cu nu friddo ca se ciuncava, per leggermi uno sproloquio che, secondo lui, era stata un’ispirazione poetica e’ chi l’è muorto. Sono rimasto un quarto d’ora in piedi in pigiama e mi è venuto pure il catarro.
    - Tummà, ma tu glielo hai spiegato?
    - Si, si, si…ma quando gli acchiappa l’enfasi poetica mi insegue dove sono sono, a qualunque ora…..
    Ora accadde che Raimondo Esposito andò in pensione e, disponendo della liquidazione, volle investirne una metà per pubblicare i suoi componimenti; e naturalmente chiese a Don Tommaso di presentare al pubblico il suo libro.
    Allora scattò la cospirazione.
    - Professore Esposito – disse al telefono Don Tommaso – farò venire anche uno dei maggiori critici letterari italiani. Sarà un trionfo!
    Chiuse il telefono e rivolto a mio zio Antonio disse. – Tonì, mi devi prestare uno dei pazzi che tieni in manicomio a Capodichino, al “Leonardo Bianchi”, quello che si è fissato di essere poeta.
    - Tummà – gli rispose mio zio – e che è un cavallo che si presta? Non si può, è reato, circonvenzione d’incapace, . …ma poi per fare che?
    - Non mi hai sentito? Il grande critico! Noi prima lo indisponiamo, lo inzarmiamo a dovere, gli facciamo venire il corrivo per Esposito, che lui nemmeno conosce. Poi lo laviamo, lo vestiamo e lo portiamo alla presentazione. Finalmente posso levarmi dalle scarpe non le prete ma gli scardoni che quel cornuto mi ci ha messo dentro.
    Qualche giorno dopo Don Tommaso andò a trovare mio zio al manicomio. Trovò nel suo ufficio anche il povero Raffaele La Peruta, il pazzo che si credeva poeta.
    - Professor Landolfi – disse complice, mio zio – legga, legga cos’ha scritto questo signore.
    Don Tommaso prese distrattamente i fogliacci di quaderno scritti con una calligrafia tutta storta ed esageratamente grande. Finse di leggere con fastidio e degnazione. Poi cambiò espressione manifestando meraviglia.
    - L’avete scritto davvero voi questo? – gli disse, facendo tremare la mano che stringeva il foglio - Non ci credo, è troppo bello.
    - Vi giuro – disse il poveretto – io, io, l’ho scritto io.
    - Ma allora…… voi siete poeta!... e che poeta! Avete altri scritti? Dovete farmeli leggere. Adesso capisco perché……- e si interruppe.
    -….perchè che cosa? – chiese La Peruta.
    - ..perchè non sono stati pubblicati. Vedete il vostro Dottore li aveva proposti ad un editore, ma il critico della casa editrice, che si crede poeta pure lui, li ha scartati. Secondo me per gelosia.
    -…e chi è stu fetente? – esplose La Peruta
    - Come? Non lo sapete? E’ il famoso poeta Raimondo Esposito. Lui si crede un genio, ma non vale nemmeno un quarto di quello che valete voi. Solo che lui è famoso, guadagna milioni con quello che scrive, fa la bella vita…. e cerca di ostacolare ogni nuovo poeta che esce. Se avessero pubblicato i vostri scritti, ah! voi oggi sareste conosciuto dappertutto. Fatemi leggere…..
    Il prof. Esposito aveva affittato un salone di ricevimento per la presentazione del suo libro ed ordinato il rinfresco per gli ospiti. Aveva invitato tutti, persino i bidelli del liceo.
    La mattina di quello stesso giorno mio zio portò La Peruta dal barbiere del manicomio.
    - Accuoncele nu poco – gli disse – accussì è troppo brutto.
    - Dottò ma c’aggia accuncià? a capa è chella e pare nu mellone.
    Il vero problema sorse per adattargli un abito. Dovettero ricorrere a degli spilli, le cui punture il pazzo sopportava stoicamente bestemmiando tra i denti.
    Quando furono in macchina Don Tommaso gli ripetè ancora:
    - Allora “Maestro” La Peruta, ci siamo capiti? Voi non direte una sola parola, salutate con un cenno, non stringete mani e neppure una sola parola, niente, se non quando sarete davanti al microfono. Solo allora potrete dire la vostra opinione sulla poesia di Esposito. Non mancate.
    - No Professore, faccio come avete detto voi. Però appena sono davanti al microfono….quel fetente, quel cornuto….così mi ha scartato eh?......maestro…...
    Appena arrivarono La Peruta si precipitò al tavolo del buffet. Don Tommaso dovette fermarlo e dissimulare, ma fu difficile fargli lasciare le sfogliate che aveva in ciascuna mano e pare che una se la fosse già cacciata in tasca.
    Seduto al tavolo della presidenza La Peruta, fisso come una sfinge, metteva in soggezione la sala, mentre Esposito declamava i suoi versi.
    - Ed ora, signore e signori,- disse Don Tommaso che presiedeva - consentitemi di sottrarmi al compito di commentare i versi del Prof. Esposito. E’ noto che sono suo ammiratore e le mie parole suonerebbero partigiane. Perciò cedo la parola a chi più e meglio di me può dirsi autorità riconosciuta in campo letterario, il critico Raffaele La Peruta, di cui sicuramente conoscete l’inestimabile valore e la profonda sapienza.
    La Peruta si alzò a fatica data la bassa statura, più largo che alto; dovettero abbassargli il microfono. Poggiò le mani sul leggio fissando il pubblico e tentennando col capo per un lunghissimo mezzo minuto. Poi disse:
    - Scurnacchiato!
    Dalla sala si levò un mormorio di stupore. Esposito, che sedeva a fianco del leggio fu paralizzato dalla sorpresa, ma si riebbe quando gli giunse sul cranio lo sputo di La Peruta. Accadde l’indescrivibile: urla, insulti, botte da orbi al tavolo della presidenza, sedie sollevate, tra l’eccitazione del pubblico ed i vani tentativi di separare i contendenti. Il pubblico, eccitatissimo cominciò ad inveire e poi a partecipare attivamente alla bagarre; volarono spintoni, parole grosse, ed infine anche botte. Uno dei partecipanti disse in seguito che, nella confusione, non sapeva né chi aveva picchiato né da chi era stato picchiato.
    Don Tommaso dovette tenere per qualche giorno la borsa del ghiaccio sulla testa: era stato colpito da Esposito che gli aveva sbattuto sulla testa un vassoio di metallo con tutti i pasticcini sopra, mentre lui e mio zio tentavano di trascinare La Peruta fino alla macchina. Riuscirono a riportare La Peruta al manicomio ed a tacitare la cosa. La Peruta ricevette, a mo’ di compenso, una fornitura straordinaria di penne e quaderni. Esposito, anche lui malamente acciaccato, cadde in depressione. Mio zio ci rimediò un occhio pesto, un graffio sul collo, una mano fasciata ed il rischio di finire sotto inchiesta davanti all’Ordine dei Medici.
    Quando anni dopo Don Tommaso stava quasi per morire, disse a mio zio: “Tonì, però….Esposito…. La Peruta….” e cominciò a ridere facendo oscillare il sostegno del lavaggio.
    Se siete riusciti almeno a sorridere, tentate questa operazione di sostituzione:
    Sostituite
    - il poeta Esposito con un entusiasta militante politico il quale tenta di proporre un punto di vista diverso dal consueto su un determinato problema
    - il prof. Landolfi, l’intellettuale di “controllo”, con un teorico la cui digestione viene disturbata dalle proposte di Esposito
    - il Dott.Maione con l’intellettuale perfido e complice disposto a sostenere qualunque cosa per favorire l’amico
    - il povero La Peruta come il militante politico ottuso strumentalizzato da Landolfi
    E a questo punto chiedetevi cosa ha scatenato la vicenda?
    E’ evidente, gli spaghetti coi purpetielli andati a male, cioè il disturbo dato al teorico della sua digestione teorica con cui ciò che dice Esposito è in contraddizione.
    In effetti è Esposito il personaggio positivo della vicenda e la simpatia che si può provare per Landolfi è in fondo la condivisione di una carognata. Vi pare?
    La domanda successiva è: perché avete provato simpatia per Landolfi?
    Ma è semplice. Sapevate in anticipo chi manipolava le cose, avete previsto chi avrebbe vinto e vi siete schierati nella sicurezza del più forte.
    Tutto era prevedibile, così come tutto era prevedibile in questa strana vostra vicenda in cui linciate una persona per il solo fatto di non condividerne un punto di vista, alcuni, e per omologazione al gruppo, altri. Ciò non riguarda i contenuti che, da quello che leggo, vi sono del tutto sfuggiti; riguarda l’operazione di soppressione del dissenso.
    Avevo avvertito il compagno Piero di non sollevare questa questione, lo avevo avvertito prima di quali sarebbero stati i suoi esiti prevedibilissimi. Vi ringrazio per aver confermato le mie previsioni: non mi dà soddisfazione, ma conferma un ragionamento del quale vi risparmio i presupposti.
    Ultima notazione: il diritto borghese non è tutto da buttare. Contiene riflessioni e principi elaborati in tutta la storia. E che il regime sia borghese o comunista, una malvagità rimane una malvagità. E’ la natura umana.
    Chiudo qui la mia brevissima presenza sul vostro Forum pregando gli Amministratori di togliermi la parola in modo che potete continuare senza ulteriori fastidi la vostra persecuzione del mio compagno.
    Dott. S.Andretta di Norfo, detto Nello.

    Quagiulo
    Inviato il: 10/3/2010, 11:54

    Caro signor Einstein,
    Quando ho saputo che Lei aveva intenzione di invitarmi a uno scambio di idee su di un tema che Le interessa e che Le sembra anche degno dell’interesse di altri, ho acconsentito prontamente. Mi aspettavo che Lei avrebbe scelto un problema al limite del conoscibile al giorno d’oggi, cui ciascuno di noi, il fisico come lo psicologo, potesse aprirsi la sua particolare via d’accesso, in modo che da diversi lati s’incontrassero sul medesimo terreno. Lei mi ha pertanto sorpreso con la domanda su che cosa si possa fare per tenere lontana dagli uomini la fatalità della guerra. Sono stato spaventato per prima cosa dall’impressione della mia - starei quasi per dire: della nostra - incompetenza, poiché questo mi sembrava un compito pratico che spetta risolvere agli uomini di Stato. Ma ho compreso poi che Lei ha sollevato la domanda non come ricercatore naturale e come fisico, bensì come amico dell’umanità, che aveva seguito gli incitamenti della Società delle Nazioni così come fece l’esploratore polare Fridtjof Nansen allorché si assunse l’incarico di portare aiuto agli affamati e alle vittime senza patria della guerra mondiale. Ho anche riflettuto che non si pretende da me che io faccia proposte pratiche, ma che devo soltanto indicare come il problema della prevenzione della guerra si presenta alla considerazione di uno psicologo. Ma anche a questo riguardo quel che c’era da dire è gia stato detto in gran parte nel Suo scritto. In certo qual modo Lei mi ha tolto un vantaggio, ma io viaggio volentieri nella sua scia e mi preparo perciò a confermare tutto ciò che Lei mette innanzi. nella misura in cui lo svolgo più ampiamente seguendo le mie migliori conoscenze (o congetture).
    Lei comincia con il rapporto tra diritto e forza. È certamente il punto di partenza giusto per la nostra indagine. Posso sostituire la parola “forza” con la parola più incisiva e più dura “violenza”? Diritto e violenza sono per noi oggi termini opposti. È facile mostrare che l’uno si è sviluppato dall’altro e, se risaliamo ai primordi della vita umana per verificare come ciò sia da principio accaduto, la soluzione del problema ci appare senza difficoltà. Mi scusi se nel seguito parlo di ciò che è universalmente noto come se fosse nuovo; la concatenazione dell’insieme mi obbliga a farlo.
    I conflitti d’interesse tra gli uomini sono dunque in linea di principio decisi mediante l’uso della violenza. Ciò avviene in tutto il regno animale, di cui l’uomo fa inequivocabilmente parte; per gli uomini si aggiungono, a dire il vero, anche i conflitti di opinione, che arrivano fino alle più alte cime dell’astrazione e sembrano esigere, per essere decisi, un’altra tecnica. Ma questa è una complicazione che interviene più tardi. Inizialmente, in una piccola orda umana, la maggiore forza muscolare decise a chi dovesse appartenere qualcosa o la volontà di chi dovesse essere portata ad attuazione. Presto la forza muscolare viene accresciuta o sostituita mediante l’uso di strumenti; vince chi ha le armi migliori o le adopera più abilmente. Con l’introduzione delle armi la superiorità intellettuale comincia già a prendere il posto della forza muscolare bruta, benché lo scopo finale della lotta rimanga il medesimo: una delle due parti, a cagione del danno che subisce e dell’infiacchimento delle sue forze, deve essere costretta a desistere dalle proprie rivendicazioni od opposizioni. Ciò è ottenuto nel modo più radicale quando la violenza toglie di mezzo l’avversario definitivamente, vale a dire lo uccide. Il sistema ha due vantaggi, che l’avversario non può riprendere le ostilità in altra occasione e che il suo destino distoglie gli altri dal seguire il suo esempio. Inoltre l’uccisione del nemico soddisfa un’inclinazione pulsionale di cui parlerò più avanti. All’intenzione di uccidere subentra talora la riflessione che il nemico può essere impiegato in mansioni servili utili se lo s’intimidisce e lo si lascia in vita. Allora la violenza si accontenta di soggiogarlo, invece che ucciderlo. Si comincia così a risparmiare il nemico, ma il vincitore da ora in poi ha da fare i conti con la smania di vendetta del vinto, sempre in agguato, e rinuncia in parte alla propria sicurezza.
    Questo è dunque lo stato originario, il predominio del più forte, della violenza bruta o sostenuta dall’intelligenza. Sappiamo che questo regime è stato mutato nel corso dell’evoluzione, che una strada condusse dalla violenza al diritto, ma quale? Una sola a mio parere: quella che passava per l’accertamento che lo strapotere di uno solo poteva essere bilanciato dall’unione di più deboli. L’union fait la force. La violenza viene spezzata dall’unione di molti, la potenza di coloro che si sono uniti rappresenta ora il diritto in opposizione alla violenza del singolo. Vediamo così che il diritto è la potenza di una comunità. È ancora sempre violenza, pronta a volgersi contro chiunque le si opponga, opera con gli stessi mezzi, persegue gli stessi scopi; la differenza risiede in realtà solo nel fatto che non è più la violenza di un singolo a trionfare, ma quella della comunità. Ma perché si compia questo passaggio dalla violenza al nuovo diritto deve adempiersi una condizione psicologica. L’unione dei più deve essere stabile, durevole. Se essa si costituisse solo allo scopo di combattere il prepotente e si dissolvesse dopo averlo sopraffatto, non si otterrebbe niente. Il prossimo personaggio che si ritenesse più forte ambirebbe di nuovo a dominare con la violenza, e il giuoco si ripeterebbe senza fine. La comunità deve essere mantenuta permanentemente, organizzarsi, prescrivere gli statuti che prevengano le temute ribellioni, istituire organi che veglino sull’osservanza delle prescrizioni - le leggi - e che provvedano all’esecuzione degli atti di violenza conformi alle leggi. Nel riconoscimento di una tale comunione di interessi s’instaurano tra i membri di un gruppo umano coeso quei legami emotivi, quei sentimenti comunitari sui quali si fonda la vera forza del gruppo.
    Con ciò, penso, tutto l’essenziale è gia stato detto: il trionfo sulla violenza mediante la trasmissione del potere a una comunità più vasta che viene tenuta insieme dai legami emotivi tra i suoi membri. Tutto il resto sono precisazioni e ripetizioni.
    La cosa è semplice finché la comunità consiste solo di un certo numero di individui ugualmente forti. Le leggi di questo sodalizio determinano allora fino a che punto debba essere limitata la libertà di ogni individuo di usare la sua forza in modo violento, al fine di rendere possibile una vita collettiva sicura. Ma un tale stato di pace è pensabile solo teoricamente, nella realtà le circostanze si complicano perché la comunità fin dall’inizio comprende elementi di forza ineguale, uomini e donne, genitori e figli, e ben presto, in conseguenza della guerra e dell’assoggettamento, vincitori e vinti, che si trasformano in padroni e schiavi. Il diritto della comunità diviene allora espressione dei rapporti di forza ineguali all’interno di essa, le leggi vengono fatte da e per quelli che comandano e concedono scarsi diritti a quelli che sono stati assoggettati. Da allora in poi vi sono nella comunità due fonti d’inquietudine - ma anche di perfezionamento - del diritto. In primo luogo il tentativo di questo o quel signore di ergersi al di sopra delle restrizioni valide per tutti, per tornare dunque dal regno del diritto a quello della violenza; in secondo luogo gli sforzi costanti dei sudditi per procurarsi più potere e per vedere riconosciuti dalla legge questi mutamenti, dunque, al contrario, per inoltrarsi dal diritto ineguale verso il diritto uguale per tutti. Questo movimento in avanti diviene particolarmente notevole quando si danno effettivi spostamenti dei rapporti di potere all’interno della collettività, come può accadere per l’azione di molteplici fattori storici. Il diritto si può allora conformare gradualmente ai nuovi rapporti di potere, oppure, cosa che accade più spesso, la classe dominante non è pronta a tener conto di questo cambiamento, si giunge all’insurrezione, alla guerra civile, dunque a una temporanea soppressione del diritto e a nuove testimonianze di violenza, in seguito alle quali viene instaurato un nuovo ordinamento giuridico. C’è anche un’altra fonte di mutamento del diritto, che si manifesta solo in modi pacifici, cioè la trasformazione dei membri di una collettività, ma essa appartiene a un contesto che può essere preso in considerazione solo più avanti.
    Vediamo dunque che anche all’interno di una collettività non può venire evitata la risoluzione violenta dei conflitti. Ma le necessità e le coincidenze di interessi che derivano dalla vita in comune sulla medesima terra favoriscono una rapida conclusione di tali lotte, e le probabilità che in queste condizioni si giunga a soluzioni pacifiche sono in continuo aumento. Uno sguardo alla storia dell’umanità ci mostra tuttavia una serie ininterrotta di conflitti tra una collettività e una o più altre, tra unità più o meno vaste, città, paesi, tribù, popoli, Stati, conflitti che vengono decisi quasi sempre mediante la prova di forza della guerra. Tali guerre si risolvono o in saccheggio o in completa sottomissione, conquista dell’una parte ad opera dell’altra. Non si possono giudicare univocamente le guerre di conquista. Alcune, come quelle dei Mongoli e dei Turchi, hanno arrecato solo calamità, altre al contrario hanno contribuito alla trasformazione della violenza in diritto avendo prodotto unità più grandi, al cui interno la possibilità di ricorrere alla violenza venne annullata e un nuovo ordinamento giuridico riuscì a comporre i conflitti. Così le conquiste dei Romani diedero ai paesi mediterranei la preziosa pax romana. La cupidigia dei re francesi di ingrandire i loro possedimenti creò una Francia pacificamente unita, fiorente. Per quanto ciò possa sembrare paradossale, si deve tuttavia ammettere che la guerra non sarebbe un mezzo inadatto alla costruzione dell’agognata pace “eterna”, poiché potrebbe riuscire a creare quelle più vaste unità al cui interno un forte potere centrale rende impossibili ulteriori guerre. Tuttavia la guerra non ottiene questo risultato perché i successi della conquista di regola non sono durevoli; le unità appena create si disintegrano, perlopiù a causa della insufficiente coesione delle parti unite forzatamente. E inoltre la conquista ha potuto fino ad oggi creare soltanto unificazioni parziali, anche se di grande estensione, e sono proprio i conflitti sorti all’interno di queste unificazioni che hanno reso inevitabile il ricorso alla violenza. Così l’unica conseguenza di tutti questi sforzi bellici è che l’umanità ha sostituito alle continue guerricciole le grandi guerre, tanto più devastatrici quanto meno frequenti.
    Per quanto riguarda la nostra epoca, si impone la medesima conclusione a cui Lei è giunto per una via più breve. Una prevenzione sicura della guerra è possibile solo se gli uomini si accordano per costituire un’autorità centrale, al cui verdetto vengano deferiti tutti i conflitti di interessi. Sono qui chiaramente racchiuse due esigenze diverse: quella di creare una simile Corte suprema, e quella di assicurarle il potere che le abbisogna. La prima senza la seconda non gioverebbe a nulla. Ora la Società delle Nazioni è stata concepita come suprema potestà del genere, ma la seconda condizione non è stata adempiuta; la Società delle Nazioni non dispone di forza propria e può averne una solo se i membri della nuova associazione - i singoli Stati - gliela concedono. Tuttavia per il momento ci sono scarse probabilità che ciò avvenga. Ci sfuggirebbe il significato di un’istituzione come quella della Società delle Nazioni, se ignorassimo il fatto che qui ci troviamo di fronte a un tentativo coraggioso, raramente intrapreso nella storia dell’umanità e forse mai in questa misura. Essa è il tentativo di acquisire mediante il richiamo a determinati princìpi ideali l’autorità (cioè l’influenza coercitiva) che di solito si basa sul possesso della forza. Abbiamo visto che gli elementi che tengono insieme una comunità sono due: la coercizione violenta e i legami emotivi tra i suoi membri (ossia, in termini tecnici, quelle che si chiamano identificazioni). Nel caso in cui venga a mancare uno dei due fattori non è escluso che l’altro possa tener unita la comunità. Le idee cui ci si appella hanno naturalmente un significato solo se esprimono importanti elementi comuni ai membri di una determinata comunità. Sorge poi il problema: Che forza si può attribuire a queste idee? La storia insegna che una certa funzione l’hanno pur svolta. L’idea panellenica, per esempio, la coscienza di essere qualche cosa di meglio che i barbari confinanti, idea che trovò così potente espressione nelle anfizionie, negli oracoli e nei Giuochi, fu abbastanza forte per mitigare i costumi nella conduzione della guerra fra i Greci, ma ovviamente non fu in grado di impedire il ricorso alle armi fra le diverse componenti del popolo ellenico, e neppure fu mai in grado di trattenere una città o una federazione di città dallo stringere alleanza con il nemico persiano per abbattere un rivale. Parimenti il sentimento che accomunava i Cristiani, che pure fu abbastanza potente, non impedì durante il Rinascimento a Stati cristiani grandi e piccoli di sollecitare l’aiuto del Sultano nelle loro guerre intestine. Anche nella nostra epoca non vi è alcuna idea cui si possa attribuire un’autorità unificante del genere. È fin troppo chiaro che gli ideali nazionali da cui oggi i popoli sono dominati spingono in tutt’altra direzione. C’è chi predice che soltanto la penetrazione universale del modo di pensare bolscevico potrà mettere fine alle guerre, ma in ogni caso siamo oggi ben lontani da tale meta, che forse sarà raggiungibile solo a prezzo di spaventose guerre civili. Sembra dunque che il tentativo di sostituire la forza reale con la forza delle idee sia per il momento votato all’insuccesso. È un errore di calcolo non considerare il fatto che il diritto originariamente era violenza bruta e che esso ancor oggi non può fare a meno di ricorrere alla violenza.
    Posso ora procedere a commentare un’altra delle Sue proposizioni. Lei si meraviglia che sia tanto facile infiammare gli uomini alla guerra, e presume che in loro ci sia effettivamente qualcosa, una pulsione all’odio e alla distruzione, che è pronta ad accogliere un’istigazione siffatta. Di nuovo non posso far altro che convenire senza riserve con Lei. Noi crediamo all’esistenza di tale istinto e negli ultimi anni abbiamo appunto tentato di studiare le sue manifestazioni. Mi consente, in proposito, di esporLe parte della teoria delle pulsioni cui siamo giunti nella psicoanalisi dopo molti passi falsi e molte esitazioni?
    Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire - da noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel Convivio di Platone) sia sessuali, estendendo intenzionalmente il concetto popolare di sessualità, - e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva.
    Lei vede che propriamente si tratta soltanto della dilucidazione teorica della contrapposizione tra amore e odio, universalmente nota, e che forse è originariamente connessa con la polarità di attrazione e repulsione che interviene anche nel Suo campo di studi. Non ci chieda ora di passare troppo rapidamente ai valori di bene e di male. Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. Ora, sembra che quasi mai una pulsione di un tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata - vincolata, come noi diciamo - con un certo ammontare della controparte, che ne modifica la meta o, talvolta, solo così ne permette il raggiungimento. Per esempio, la pulsione di autoconservazione è certamente esotica, ma ciò non toglie che debba ricorrere all’aggressività per compiere quanto si ripromette. Allo stesso modo la pulsione amorosa, rivolta a oggetti, necessita un quid della pulsione di appropriazione, se veramente vuole impadronirsi del suo oggetto. La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle.
    Se Lei è disposto a proseguire con me ancora un poco, vedrà che le azioni umane rivelano anche una complicazione di altro genere. E’ assai raro che l’azione sia opera di un singolo moto pulsionale, il quale d’altronde deve essere già una combinazione di Eros e distruzione. Di regola devono concorrere parecchi motivi similmente strutturati per rendere possibile l’azione. Uno dei Suoi colleghi l’aveva già avvertito, un certo professor G. C. Lichtenberg, che insegnava fisica a Gottinga al tempo dei nostri classici; ma forse egli era anche più notevole come psicologo di quel che fosse come fisico. Egli scoprì la rosa dei moventi, nell’atto in cui dichiarò: “I motivi per i quali si agisce si potrebbero ripartire come i trentadue venti e indicarli con nomi analoghi, per esempio ‘Pane-Pane-Fama’ o ‘Fama-Fama-Pane’.” Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, è possibile che si destino in loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari, quelli di cui si parla apertamente e altri che vengono taciuti. Non è il caso di enumerarli tutti. Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte; innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro esistenza e la loro forza. Il fatto che questi impulsi distruttivi siano mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro soddisfacimento. Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali siano serviti da paravento alle brame di distruzione; altre volte, trattandosi per esempio crudeltà della Santa Inquisizione, che i motivi ideali fossero preminenti nella coscienza, mentre i motivi distruttivi recassero loro un rafforzamento inconscio. Entrambi i casi sono possibili.
    Ho qualche scrupolo ad abusare del Suo interesse, che si rivolge alla prevenzione della guerra e non alle nostre teorie. Tuttavia vorrei intrattenermi ancora un attimo sulla nostra pulsione distruttiva, meno nota di quanto richiederebbe la sua importanza. Con un po’ di speculazione ci siamo convinti che essa opera in ogni essere vivente e che la sua aspirazione è di portarlo alla rovina, di ricondurre la vita allo stato della materia inanimata. Con tutta serietà le si addice il nome di pulsione di morte, mentre le pulsioni erotiche stanno a rappresentare gli sforzi verso la vita. La pulsione di morte diventa pulsione distruttiva allorquando, con l’aiuto di certi organi, si rivolge all’esterno, verso gli oggetti. L’essere vivente protegge, per così dire, la propria vita distruggendone una estranea. Una parte della pulsione di morte, tuttavia, rimane attiva all’interno dell’essere vivente e noi abbiamo tentato di derivare tutta una serie di fenomeni normali e patologici da questa interiorizzazione della pulsione distruttiva. Siamo perfino giunti all’eresia di spiegare l’origine della nostra coscienza morale con questo rivolgersi dell’aggressività verso l’interno. Noti che non è affatto indifferente se questo processo è spinto troppo oltre in modo diretto; in questo caso è certamente malsano. Invece il volgersi di queste forze pulsionali alla distruzione nel mondo esterno scarica l’essere vivente e non può non avere un effetto benefico. Ciò serve come scusa biologica a tutti gli impulsi esecrabili e pericolosi contro i quali noi combattiamo. Si deve ammettere che essi sono più vicini alla natura di quanto lo sia la resistenza con cui li contrastiamo e di cui ancora dobbiamo trovare una spiegazione. Forse Lei ha l’impressione che le nostre teorie siano una specie di mitologia, in questo caso neppure festosa. Ma non approda forse ogni scienza naturale in una sorta di mitologia? Non è così oggi anche per Lei, nel campo della fisica?
    Per gli scopi immediati che ci siamo proposti da quanto precede ricaviamo la conclusione che non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. Si dice che in contrade felici, dove la natura offre a profusione tutto ciò di cui l’uomo ha bisogno, ci sono popoli la cui vita scorre nella mitezza. presso cui la coercizione e l’aggressione sono sconosciute. Posso a malapena crederci; mi piacerebbe saperne di più, su questi popoli felici. Anche i bolscevichi sperano di riuscire a far scomparire l’aggressività umana, garantendo il soddisfacimento dei bisogni materiali e stabilendo l’uguaglianza sotto tutti gli altri aspetti tra i membri della comunità. Io la ritengo un’illusione. Intanto, essi sono diligentemente armati, e fra i modi con cui tengono uniti i loro seguaci non ultimo è il ricorso all’odio contro tutti gli stranieri. D’altronde non si tratta, come Lei stesso osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra.
    Partendo dalla nostra dottrina mitologica delle pulsioni, giungiamo facilmente a una formula per definire le vie indirette di lotta alla guerra. Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami possono essere di due tipi. In primo luogo relazioni che pur essendo prive di meta sessuale assomiglino a quelle che si hanno con un oggetto d’amore. La psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui parla di amore, perché la religione dice la stessa cosa: “ama il prossimo tuo come te stesso”.
    Ora, questo è un precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L’altro tipo di legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società umana.
    L’abuso di autorità da Lei lamentato mi suggerisce un secondo metodo per combattere indirettamente la tendenza alla guerra. Fa parte dell’innata e ineliminabile diseguaglianza tra gli uomini la loro distinzione in capi e seguaci. Questi ultimi sono la stragrande maggioranza, hanno bisogno di un’autorità che prenda decisioni per loro, alla quale perlopiù si sottomettono incondizionatamente. Richiamandosi a questa realtà, si dovrebbero dedicare maggiori cure, più di quanto si sia fatto finora all’educazione di una categoria superiore di persone dotate di indipendenza di pensiero, inaccessibili alle intimidazioni e cultrici della verità, alle quali dovrebbe spettare la guida delle masse prive di autonomia. Che le intrusioni del potere statale e la proibizione di pensare sancita dalla Chiesa non siano favorevoli ad allevare cittadini simili non ha bisogno di dimostrazione. La condizione ideale sarebbe naturalmente una comunità umana che avesse assoggettato la sua vita pulsionale alla dittatura della ragione. Nient’altro potrebbe produrre un’unione tra gli uomini così perfetta e così tenace, perfino in assenza di reciproci legami emotivi. Ma secondo ogni probabilità questa è una speranza utopistica. Le altre vie per impedire indirettamente la guerra sono certo più praticabili, ma non promettono alcun rapido successo. E’ triste pensare a mulini che macinano talmente adagio che la gente muore di fame prima di ricevere la farina.
    Vede che, quando si consulta il teorico estraneo al mondo per compiti pratici urgenti, non ne vien fuori molto. E’ meglio se in ciascun caso particolare si cerca di affrontare il pericolo con i mezzi che sono a portata di mano. Vorrei tuttavia trattare ancora un problema, che nel Suo scritto Lei non solleva e che m’interessa particolarmente. Perché ci indigniamo tanto contro la guerra, Lei e io e tanti altri, perché non la prendiamo come una delle molte e penose calamità della vita? La guerra sembra conforme alla natura, pienamente giustificata biologicamente, in pratica assai poco evitabile. Non inorridisca perché pongo la domanda. Al fine di compiere un’indagine come questa è forse lecito fingere un distacco di cui in realtà non si dispone. La risposta è: perché ogni uomo ha diritto alla propria vita, perché la guerra annienta vite umane piene di promesse, pone i singoli individui in condizioni che li disonorano, li costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui, distrugge preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, e altre cose ancora. Inoltre la guerra nella sua forma attuale non dà più alcuna opportunità di attuare l’antico ideale eroico, e la guerra di domani, a causa del perfezionamento dei mezzi di distruzione, significherebbe lo sterminio di uno o forse di entrambi i contendenti. Tutto ciò è vero e sembra così incontestabile che ci meravigliamo soltanto che il ricorso alla guerra non sia stato ancora ripudiato mediante un accordo generale dell’umanità. Qualcuno dei punti qui enumerati può evidentemente essere discusso: ci si può chiedere se la comunità non debba anch’essa avere un diritto sulla vita del singolo; non si possono condannare nella stessa misura tutti i tipi di guerra; finché esistono stati e nazioni pronti ad annientare senza pietà altri stati e altre nazioni, questi sono necessitati a prepararsi alla guerra. Ma noi vogliamo sorvolare rapidamente su tutto ciò, giacché non è questa la discussione a cui Lei mi ha impegnato. Ho in mente qualcos’altro, credo che la ragione principale per cui ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo fare a meno di farlo. Siamo pacifisti perché dobbiamo esserlo per ragioni organiche: ci è poi facile giustificare il nostro atteggiamento con argomentazioni.
    So di dovermi spiegare, altrimenti non sarò capito. Ecco quello che voglio dire: Da tempi immemorabili l’umanità è soggetta al processo dell’incivilimento (altri, lo so, chiamano più volentieri questo processo: civilizzazione). Dobbiamo ad esso il meglio di ciò che siamo divenuti e buona parte di ciò di cui soffriamo.
    Le sue cause e origini sono oscure, il suo esito incerto, alcuni dei suoi caratteri facilmente visibili. Forse porta all’estinzione del genere umano, giacché in più di una guisa pregiudica la funzione sessuale, e già oggi si moltiplicano in proporzioni più forti le razze incolte e gli strati arretrati della popolazione che non quelli altamente coltivati. Forse questo processo si può paragonare all’addomesticamento di certe specie animali; senza dubbio comporta modificazioni fisiche; tuttavia non ci si è ancora familiarizzati con l’idea che l’incivilimento sia un processo organico di tale natura. Le modificazioni psichiche che intervengono con l’incivilimento sono invece vistose e per nulla equivoche. Esse consistono in uno spostamento progressivo delle mete pulsiona!i. Sensazioni che per i nostri progenitori erano cariche di piacere, sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili; esistono fondamenti organici del fatto che le nostre esigenze ideali, sia etiche che estetiche, sono mutate. Dei caratteri psicologici della civiltà, due sembrano i più importanti: il rafforzamento dell’intelletto, che comincia a dominare la vita pulsionale, e l’interiorizzazione dell’aggressività, con tutti i vantaggi e i pericoli che ne conseguono.
    Orbene, poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale, per così dire della massima idiosincrasia. E mi sembra che le degradazioni estetiche della guerra non abbiano nel nostro rifiuto una parte molto minore delle sue crudeltà.
    Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti? Non si può dirlo, ma forse non è una speranza utopistica che l’influsso di due fattori - un atteggiamento più civile e il giustificato timore degli effetti di una guerra futura - ponga fine alle guerre in un prossimo avvenire. Per quali vie dirette o traverse non possiamo indovinarlo. Nel frattempo possiamo dirci: tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra.
    La saluto cordialmente e Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa.
    Suo Sigm. Freud
    Modificato da Quagiulo - 12/3/2010, 21:18

    stefanot
    Inviato il: 10/3/2010, 22:08

    Colgo l’occasione della “brevissima presenza” sul nostro Forum del Dott. S. Andretta di Norfo, detto Nello, per ribadire che la mia frase (vedi “attualità”/ “a proposito di violenza”/ mio post del 05/03/2010 ore 09.05) : “Lui commenta le mie parole con un sorriso di commiserazione ... il mio solo commento alla sua commiserazione è la mia sincera solidarietà a chi gli sta vicino.”
    è da leggere (qualora non fosse stata chiara) : lui mi commisera (ovvero prova “un sentimento di compassione”, ovvero “prova pietà per me, mi compatisce” cfr.Zingarelli) io invece provo sincera solidarietà (ovvero provo “un sentimento di fratellanza di vicendevole aiuto, materiale e morale esistente fra i membri di una società, di una collettività” cfr . Zingarelli) con chi gli sta vicino cioè con i suoi compagni “esterni” (così da lui definiti) e uno sembra essere proprio Lei Dott. S. Andretta di Norfo detto Nello.
    E perché sono solidale con chi gli sta vicino? Perché sicuramente è costretto a subire le sue prolisse esternazioni senza poter dissentire né avere opinione diversa tanto da dover, alla fine, preferire condividere in pieno le sue tesi di persecuzione piuttosto che guardare oggettivamente e liberamente ai fatti: un gruppo nutrito di persone si è sentito da lui prevaricato e si è a lui rivolto più volte con cortesia perché lasciasse spazio a tutti senza fare interventi lapidari e che non lasciavano spazio al dibattito.
    Noi non leviamo la parola a nessuno, tanto che abbiamo stigmatizzato il comportamento di chi ha cancellato tutti i propri interventi rendendo impossibile a chi entra nel Forum capire di cosa si sta parlando e potersi fare una propria personale opinione.
    Cari saluti
    Sig. Stefano T., detto Tetè
    PS : Anche a me piace il teatro e mi piace oggi ricordarle che : “Signori si nasce!”

    Quagiulo
    Inviato il: 11/3/2010, 00:34

    A quanto vedo la minaccia di denunciarla per diffamazione ha avuto effetto e Lei ha ritirato le allusioni alla famiglia del compagno Piero deviandole su altri. Come vede, anche il Codice Civile borghese talvolta è utile. Rimane il gesto.
    Se Lei è nato signore, me ne compiaccio. Lo dimostri qualche volta.N.A.

    Edited by stefanot - 18/3/2010, 18:10
     
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