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3. Sulla natura della crisi

Napoli 7 e 8 maggio 2011 - weekend di incontro e di confronto

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  1. stefanot
     
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    3. Sulla natura della crisi

    Come detto nell’introduzione, la complessità del fenomeno da analizzare e la varietà degli interventi che si sono succeduti non hanno consentito di seguire sempre un unico filo conduttore, ma si possano riassumere i punti più importanti emersi e su cui il dibattito potrebbe essere ulteriormente approfondito.
    In molti interventi è stato sottolineato che indagare a fondo sulla natura di questa crisi può aiutare a comprendere che, al di là dell’appartenenza a una “categoria”, dell’appartenenza a settori diversi della popolazione mondiale, al di là dell’essere greci, italiani, spagnoli, sudamericani, nordafricani, cinesi, la causa dei disagi economici ed esistenziali può essere riconosciuta in modo abbastanza convincente nella crisi di un sistema che oggi non è più in grado di assicurare ai lavoratori non solo benessere e “pace sociale”, ma neanche quel tanto che ha finora garantito livelli accettabili di sopravvivenza. Far emergere le contraddizioni di questo sistema ci può aiutare a capire cosa sta accadendo e perché e ci potrebbe aiutare a non sentirci inadeguati, impauriti, colpevoli, disuniti.


    3.1 La crisi di oggi e quella del ’29. Quali le differenze?
    Alla domanda posta sin dall’inizio “Se crisi significa cambiamento, in quale direzione si sta andando? Questa crisi è diversa da quella del ’29?” nei diversi interventi che si sono succeduti nei due giorni sono stati toccati diversi elementi:
    Uno degli intervenuti ha sviluppato l’idea che negli anni ’30, dopo la crisi, la speranza era possibile perché è stato possibile rispondere ad un’ennesima crisi ciclica. Negli anni ’30 però, ha continuato lo stesso partecipante, non c’erano le forze produttive tali da permettere un cambiamento radicale.

    Oggi invece, rispetto agli anni ’30, si sono sviluppate forze produttive che hanno creato elementi che stanno rivoluzionando le condizioni materiali di produzione. L’enorme sviluppo tecnologico ha provocato un radicale cambiamento nella produzione, riducendo drasticamente la forza lavoro.

    Molti dei presenti erano comunque d’accordo che la ridotta capacità di acquisto di oggi non può essere più compensata come in passato dall’espansione dei mercati. Le caratteristiche del sistema di produzione capitalistico sono cambiate. Siamo di fronte alla crisi degli Stati nazionali, cosa mai vista prima.

    Un’altra idea è stata sviluppata a proposito dello scoppio di una nuova guerra mondiale: se nel secolo scorso, è stato detto, lo scontro tra stati imperialisti per dividersi fette di mercato ha portato alla seconda guerra mondiale, oggi che il capitalismo è transazionale non dovrebbero più esserci guerre mondiali. Tra l’altro, le numerose guerre di questo secolo non si sono rivelate neanche più “utili” alla borghesia mondiale.

    Molti dei presenti erano comunque d’accordo sul fatto che la ridotta capacità di acquisto oggi non può essere più compensata come in passato dall’espansione dei mercati.

    3.2 La crisi e la precarietà: ci sono delle soluzioni?
    Da qualche decennio la precarietà è diventata intrinseca al sistema stesso e non è più solo dei giovani. Si assiste infatti ad una proletarizzazione sempre più ampia di settori della popolazione. Oggi sono in crisi anche settori della media e piccola borghesia che assistono impotenti alla perdita delle loro certezze e vedono a rischio il proprio futuro.

    Se questa, come sembrerebbe anche per la durata, è una crisi strutturale e non ciclica, se è una crisi di sovrapproduzione, si è di fronte ad una contraddizione insanabile del sistema. Le “invenzioni” della finanza internazionale/sovranazionale, i “rimedi” economici e politici che stanno cercando di adottare non stanno risolvendo la situazione, anzi sono stati talvolta causa di nuovi disastri (dalla New economy alla crisi finanziaria, da questa alla crisi dell’euro…) che hanno portato addirittura l’economia più forte del mondo a diventare ormai ostaggio della Cina.

    Gli stessi disastri ecologici sono sintomo della crisi di un sistema che non riesce più a risolvere i problemi che esso stesso ha creato.
    In un momento di crisi generale e forte come questo, sempre più la cultura è mercificata e tagliata e la stessa persona è sempre più chiaramente soltanto una merce.

    3.3 La crisi mette in discussione le espressioni della democrazia?
    Sono in crisi in tutto il mondo le strutture della democrazia rappresentativa (aumento dell’astensionismo in vari paesi, crisi della rappresentanza sindacale). Le varie forme di protesta cui si assiste in diversi paesi del mondo, sebbene partite da spinte apparentemente diverse (Tunisia ed Egitto, Spagna e Grecia), testimoniano la crescente sfiducia di settori sempre più ampi della popolazione nella possibilità di un cambiamento significativo attraverso la delega a partiti politici e sindacati.

    Queste lotte vedono in prima fila i giovani, ma insieme ai loro genitori. Questa crisi, sempre più sentita sulla propria pelle, non è solo economica, ma anche di valori. L’isolamento sul posto di lavoro, dove si è sempre più spinti alla competizione, la marginalizzazione e il senso di estraniamento rispetto al proprio ruolo, se da un lato creano paura e sfiducia, possono però far nascere un bisogno di unità e di protagonismo.

    3.4 Conclusione
    Come già detto, questi sono soltanto alcuni degli elementi usciti dalla discussione, sicuramente quelli più dibattuti. Invitiamo tutti a proseguire sviluppando i quesiti inseriti nei tre precedenti paragrafi:

    • La crisi di oggi e quella del ’29. Quali le differenze?
    • La crisi e la precarietà: ci sono delle soluzioni?
    • La crisi mette in discussione le espressioni della democrazia?
     
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