Napoli Oltre

3. Sulla natura della crisi

Napoli 7 e 8 maggio 2011 - weekend di incontro e di confronto

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1. polrpk
     
    .

    User deleted


    3.1) Crisi del 1929
    L'analisi delle crisi è una questione che si articola su due livelli differenti di profondità.
    L'analisi di profondità è la seguente. Secondo una letteratura marxista che ritengo la più qualificata e convincente, esistono leggi del capitalismo che lo conducono inevitabilmente al collasso economico. Il capitalismo ha bisogno dell'accumulazione di capitale come dell'aria ma, a causa della legge della caduta del saggio del profitto (e la conseguente caduta della massa del profitto), l'accumulazione si scontra con il profitto destinato al consumo del capitalista. Siccome il modo di produzione capitalistico è fondato sull'autonomia dei singoli produttori privati che perseguono esclusivamente il loro interesse, è ovvio che a soccombere tra produzione per la società (accumulazione) e guadagno individuale (reddito del capitalista) non potrà che essere l'accumulazione. Così la produzione si contrae, ma il problema si ripresenta ancora e così via fino alla situazione limite in cui i profitti sono nulli: la motivazione all'investimento cessa e con essa cessa il ruolo produttivo del denaro da investimento. E' la fine del capitale, il crollo del capitalismo. Tuttavia già Marx metteva in guardia su alcune controtendenze che rallentavano il crollo (es. riduzione dei salari, ecc.).

    L'analisi contingente è quella che considera la forma con cui questa manifestazione della tendenza al crollo emerge. Io non sono abbastanza competente per poter parlare in maniera compiuta ne del '29 ne di oggi; ma da quello che so, abbiamo a che fare con forme di crisi differenti.
    Il '29 rappresenta la crisi del fordismo made in USA e la prima grande manifestazione del fatto che il capitale è un ostacolo alle forze produttive. Il fordismo è stata una grande innovazione tecnologica dell'industria che ha permesso l'emergere del prodotto industriale di massa: la ricchezza materiale degli americani è cresciuta notevolmente nei "ruggenti anni venti". Ma il sogno di Ford e del suo "capitalismo del benessere" di un mercato illimitato si è presto scontrato con gli angusti limiti del mercato americano e la difficoltà di fare gli stessi profitti. Così, inesorabile, è arrivata la contrazione della produzione e l'aumento della disoccupazione. Ritengo che gli effetti su Wall Street siano solo conseguenza, e non causa, della crisi, a maggior ragione considerando che la dimensione della finanza di allora era di molto ridotta rispetto a quella attuale.
    Se non fosse stato per la guerra gli USA non si sarebbero risollevati. Negli anni 50 si sono trovati un Europa e un Giappone da ricostruire, di modernizzare: il boom economico, senza precedenti. Il mondo chiedeva agli USA il know-how per avviare la produzione fordista e questa domanda, oltre che arricchire i professionisti americani, accresceva la domanda di figure qualificate. Contemporaneamente nei paesi arretrati si conosceva una certa prosperità data dall'instaurazione della grande industria fordista. Negli USA, inoltre, potevano riprendere le esportazioni di manufatti (soprattutto macchinari industriali) verso i paesi da ricostruire. Tutto questo è durato fino agli anni '70, quando il fordismo era ormai affermato compiutamente anche in Europa e Giappone. La concorrenza è di nuovo spietata e, di nuovo, crollo dei profitti e crisi. Gli USA, però, si salvano ancora con una botta di culo: l'informatica. La nascita dell'informatica, oltre a creare di per se un nuovo settore industriale, permette un enorme incremento della produttività dei servizi, che penetrano ovunque. Grazie all'informatica diviene redditizio investire capitale nei servizi: così gli USA possono lasciare agli europei la produzione fordista e loro dedicarsi alla solita vendita del know-how (sui servizi) e giovare delle nuove imprese tecnologiche.
    Questo funziona fino al 2000 circa. Da allora, di nuovo, crollo per le medesime ragioni.

    Dopo 10 anni, non si ancora trovato nessun espediente che permetta di uscire da questo pantano. Con l'entrata in scena dei paesi asiatici che offrono schiavi a bassissimo costo c'è stata una forte controtendenza al crollo, ma ad oggi vediamo che nemmeno questo è bastato e la stessa Cina, questa enorme tigre di carta, comincia a tremare. Oggi, a differenza del '29, non è proponibile nessun New Deal: allora gli Stati erano un immensa garanzia e questo ha permesso una certa ripresa negli anni '30 e, soprattutto, durante la guerra e nel dopoguerra. USA e URSS si sono spartiti il mondo non solo e non tanto militarmente, ma a colpi di crediti per la ristrutturazione. Oggi non esiste nel mondo nessuna potenza in grado di fare altrettanto: pertanto si assiste alla crisi profonda del sistema di un fattore importante di controtendenza al crollo, il debito. D'ora in avanti non sarà più possibile ancora credere alla favola del debito. E' un fatto.

    Quindi io ritengo che questa crisi segna questo: la crisi di un fattore rilevantissimo che impedisce al capitalismo di crollare. Se il '29 ha mostrato la fine dell'ideologia liberista e ha escoriato la pelle per farci vedere più in profondità, la crisi attuale ci mostra direttamente le interiora del moribondo, come uno squarcio nella pancia. I punti del New Deal non sono bastati, e ora l'apertura è arrivata fino alle budella. La crisi attuale ci mostra come non mai la legge del crollo del capitalismo privata di uno dei suoi veli: il debito.

    Compito dei comunisti è contribuire a togliere anche gli altri veli che gettano fumo negli occhi e impediscono di scorgere realmente l'analisi di profondità.
     
    Top
    .
42 replies since 21/9/2011, 11:53   1376 views
  Share  
.