Napoli Oltre

3. Sulla natura della crisi

Napoli 7 e 8 maggio 2011 - weekend di incontro e di confronto

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  1. osvaldo4s
     
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    Non me ne vogliate per la lunghezza dei seguenti brani. Giuro che non li ho scritti io (magari!). Se letti con attenzione, secondo me, dovrebbero far nascere almeno qualche perplessità presso coloro i quali pensano che le crisi dei mercati o comunque del capitalismo siano riconducibili alla sola caduta tendenziale del saggio del profitto. In breve si afferma che la crisi da sovrapproduzione di merci spiega i limiti all’espansione storica del capitalismo, mentre implicitamente la caduta tendenziale del saggio del profitto da sola non basterebbe. Malattia genetica del capitalismo, la sovrapproduzione in un’epoca come la nostra si è generalizzata ad un punto tale da non lasciare altro spazio alla borghesia che a continuare a barare con la legge del valore per crearsi dei mercati artificiali nel tentativo di dare una possibile soluzione all’ingombro mercantile. Oggi però questo spazio si è ristretto ad un punto tale da rendere inutile qualsiasi sforzo si faccia in tale direzione. I mercati, infatti, sono in perenne asfissia ed è la stessa borghesia ad ammettere che si tratta di una crisi del debito, anche se la incolpa, dicendo solo una parte della verità, ai finanzieri corrotti e senza scrupoli invece che alle contraddizioni insolubili del suo sistema. Per noi lavoratori e sfruttati invece l’importanza della crisi del capitalismo riveste un senso molto pratico perché sappiamo bene che questa crisi, come sempre, la borghesia la sta riversando tutta sulla nostra pelle ed ha intenzione, come preannunciato dai piani di risanamento degli Stati, di continuare a farcela pagare. Pertanto se questa crisi ha ancora dei caratteri di reversibilità varrebbe la pena di lottare per il miglioramento delle nostre condizioni di vita, e di conseguenza si dovrebbero accettare anche ipotesi riformiste e tutto ciò che queste politicamente comportano, ma se, al contrario, essa non è reversibile, e cioè si aggrava sempre di più, non ci si può che battere per il capovolgimento del sistema, prima che ci travolga tutti in una voragine dalla quale non sarà più possibile uscire. In fin dei conti quando si discute di crisi non è di questo che si sta parlando?
    Ma veniamo ai brani su citati:
    "Qui noi non abbiamo ancora da considerare il rapporto di un capitalista dato con gli operai degli altri capitalisti. Questo rapporto fa rivelare solamente l'illusione di ogni capitalista, ma non cambia niente al rapporto fondamentale capitale-lavoro. Sapendo che non si trova nei confronti del suo operaio nella situazione del produttore di fronte al consumatore, ogni capitalista cerca di limitarne al massimo il consumo, diversamente detto capacità di scambio, il salario. Si augura, naturalmente, che gli operai degli altri capitalisti consumino al massimo la sua merce; ma il rapporto di ogni capitalista con i suoi operai è il rapporto generale del capitale con il lavoro. È precisamente di là che nasce l'illusione che, ad eccezione dei propri operai, tutta la classe operaia costituisce per lui consumatori e clienti, non operai, ma dispensatori di denaro. Si dimentica che, secondo Malthus, "l'esistenza stessa di un profitto su qualsiasi merce presuppone una domanda esterna a quella dell'operaio che l'ha prodotta", e che di conseguenza "la domanda dello stesso operaio non può essere mai una domanda adeguata". Dato che una produzione mette in movimento un'altra e che essa si crea così dei consumatori presso gli operai di un terzo capitale, ogni capitale ha l'impressione che la domanda della classe operaia, come è posta dalla stessa produzione, è una "domanda adeguata". Questa domanda posta dalla stessa produzione l'incita e deve incitarla a superare i limiti proporzionali in cui essa dovrebbe produrre rispetto agli operai; d'altra parte, se la "domanda esterna a quella dei loro stessi operai" sparisce o si assottiglia, la crisi esplode". Grundrisse o Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, Ed. La Nuova Italia, Tomo II, "Il Capitale".
    Ed ancora
    "Il capitale insegue, in effetti, non la soddisfazione dei bisogni, ma l'ottenimento di un profitto, ed il suo metodo consiste nel regolare la massa dei prodotti secondo la scala della produzione e non quest'ultima secondo i prodotti che dovrebbero essere ottenuti; c'è dunque conflitto continuo tra il consumo compresso e la produzione per riuscire a raggiungere il limite assegnato a quest'ultima, e siccome il capitale consiste in merci, la sua sovrapproduzione si riduce ad una sovrapproduzione di merci. Un fenomeno bizzarro è che gli stessi economisti che negano la possibilità di una sovrapproduzione di merci ammettono che il capitale possa esistere in eccesso. Tuttavia quando dicono che non c'è sovrapproduzione universale, ma semplicemente una sproporzione tra i diversi rami di produzione, affermano che in regime capitalista la proporzionalità dei diversi rami di produzione risulta continuamente dalla loro sproporzione; perché per essi la coesione della produzione tutta intera si impone ai produttori come una legge cieca, che essi non possono volere, né controllare. Questo ragionamento implica, inoltre, che i paesi dove il regime capitalista non è sviluppato consumano e producono nella stessa misura delle nazioni capitaliste. Dire che la sovrapproduzione è solamente relativa è perfettamente esatto. Ma tutto il sistema capitalista di produzione è solamente un sistema relativo i cui limiti sono assoluti solamente quanto si considera il sistema in sé. Come è possibile che talvolta degli oggetti che indubbiamente mancano alla massa del popolo non facciano l'oggetto di nessuna domanda del mercato, e come è che bisogna cercare allo stesso tempo degli ordini lontano, rivolgersi ai mercati stranieri per potere pagare agli operai del paese la media dei mezzi di esistenza indispensabili? Unicamente perché in regime capitalista il prodotto in eccesso riveste una forma tale che colui che lo possiede non può metterlo a disposizione del consumatore se non quando si riconverte per lui in capitale. Infine, quando si dice che i capitalisti non hanno che da scambiare tra loro e consumare loro stessi le loro merci, si perde di vista il carattere essenziale della produzione capitalista, il cui scopo è la messa in valore del capitale e non il consumo. Riassumendo tutte le obiezioni che vengono opposte ai fenomeni così evidenti della sovrapproduzione (fenomeni che si svolgono malgrado queste obiezioni), si torna a dire che i limiti che si attribuiscono alla produzione capitalista non essendo dei limiti inerenti alla produzione in generale, non sono neanche dei limiti di questa produzione specifica che si chiama capitalista. Ragionando così si dimentica che la contraddizione che caratterizza il modo capitalista di produzione, risiede soprattutto nella sua tendenza a sviluppare in maniera assoluta le forze produttive, senza preoccuparsi delle condizioni di produzione al centro delle quali si muove e può muoversi il capitale". Il Capitale, Volume III, capitolo 15: "lo sviluppo delle contraddizioni immanenti della legge", 3a parte.
     
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42 replies since 21/9/2011, 11:53   1376 views
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