Napoli Oltre

3. Sulla natura della crisi

Napoli 7 e 8 maggio 2011 - weekend di incontro e di confronto

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  1. osvaldo4s
     
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    Innanzitutto non capisco perché una risposta impulsiva e sbavata (cito le tue parole). Non vorrei che su un tale argomento la discussione prendesse una piega a dir poco sgradevole, facendone anche un caso personale tra Te e me. Cosa che rigetto in maniera assoluta.

    Voglio sottolineare che se si parla di crisi non è per sfoggiare cultura salottiera (ti assicuro che non ne sarei capace in quanto non sono un intellettuale ma un lavoratore proletario) ma semplicemente per capire dove stiamo andando e che margini di sopravvivenza ancora ci può dare questo sistema e magari come fare a difenderci e/o se è veramente necessario abbatterlo.

    Intanto, ho semplicemente esposto quello che ho capito da certe letture soprattutto se confrontate alla realtà socio-politica ed economica, che, oltretutto, sto seguendo con una certa attenzione da più di vent’anni. Penso di condividerle e solo per questo ne ho riportato alcuni brani.

    La mia intenzione è capire, discutendo con correttezza e con riferimenti letterari riguardanti la lotta storica del movimento operaio (non è che possiamo negarli!) in rapporto e soprattutto alla nostra realtà di vita attuale, che natura ha, come si definisce e come interpretare, chiaramente da un punto di vista di classe, la crisi da sovrapproduzione citata da più parti nella letteratura marxista e cioè se è vero che:
    "L'universalità verso cui tende senza tregua il capitale incontra dei limiti immanenti alla sua natura che, ad un certo stadio del suo sviluppo, lo fanno apparire come il più grande ostacolo a questa tendenza e lo spingono alla sua autodistruzione". (Grundrisse).

    E se ciò è vero, che stadio del suo sviluppo stiamo vivendo in questo momento.

    Tu però mi fai una domanda precisa: Chi è che consuma quello che gli operai non possono comprare? Mi sembra di aver detto che Polprpk ed io sono daccordo dice Se il problema è il mercato allora c'entrano relativamente le merci già prodotte perché i nuovi settori cancellano quelli più arretrati rubando loro il mercato!

    Se non ho capito male cercherò di rispondere:

    Come sai, non ho detto che gli operai non possono comprare delle merci, ma che, pur comprandole, il loro salario non riesce a valorizzare il capitale investito in quel ciclo di produzione - che ha visto gli stessi all’opera - (e mi sembra che questa non sia solo una mia idea: Si dimentica che, secondo Malthus, "l'esistenza stessa di un profitto su qualsiasi merce presuppone una domanda esterna a quella dell'operaio che l'ha prodotta", e che di conseguenza "la domanda dello stesso operaio non può essere mai una domanda adeguata". Dato che una produzione mette in movimento un'altra e che essa si crea così dei consumatori presso gli operai di un terzo capitale, ogni capitale ha l'impressione che la domanda della classe operaia, come è posta dalla stessa produzione, è una "domanda adeguata". Questa domanda posta dalla stessa produzione l'incita e deve incitarla a superare i limiti proporzionali in cui essa dovrebbe produrre rispetto agli operai; d'altra parte, se la "domanda esterna a quella dei loro stessi operai" sparisce o si assottiglia, la crisi esplode".
    Scusa la ripetizione ma è necessario leggere attentamente questo brano.

    Detto ciò, penso che la risposta sia stata data proprio dalla Luxemburg quando afferma che la domanda idonea per valorizzare in grande scala quella parte di capitale investito, che né il salariato né il capitalista pur comprando merci riescono a valorizzare, può venire in gran parte solo da economie pre-capitaliste o non ancora capitaliste.

    Ora, seguendo questa logica, visto che i mercati precapitalisti e quelli non capitalisti si sono ridotti all’osso – inizio del 1900 – e visto che il salario non può creare mercato profittevole, chi lo deve creare questo mercato? O meglio chi compra queste merci per valorizzarne il capitale in esso contenuto sottoforma di plus-valore o diversamente detto sfruttamento lavorativo non pagato agli operai?

    In linea di massima, a fovorirlo ed a crearlo sono state rispettivamente particolari politiche e particolari politiche economiche. Per le prime mi riferisco ai capitalismi di Stato – che hanno caratterizzato la vita politica delle potenze imperialiste di quel periodo e fino ad oggi; per le seconde, tra le più conosciute e principali possiamo ricordare per esempio quelle keynesiane, che la borghesia mondiale ha dovuto usare già dalla crisi del 29 e che ha continuato ad usare nel subito dopo guerra (vedi per esempio il Piano Marshall). E così di seguito fino ai nostri giorni. Ma tali mercati non possono essere che fittizi visto che si bara proprio sulla legge del valore (a tale proposito leggere la nota 1 in basso).

    E pur vero che i nuovi “mercati” cancellano quelli più arretrati. Bisogna però ammettere che gran parti di essi sono stati creati con una corsa avanti nel credito, con maggiori investimenti nel capitale costante ed intensificando lo sfruttamento della classe operaia. Ma non per questo risolvono il loro peccato originale che resta invariato, e né tantomeno hanno la capacità di trasformare in meglio le condizioni di vita dei lavoratori (chiaramente parlo a livello mondiale e non del mio orticello europeo o nazionale che oltretutto non posseggo. Infatti, quando si parla per esempio del boom economico che è seguito alla seconda guerra mondiale - oltretutto durato a stento un ventennio - non bisognerebbe considerare le sole condizioni di produttività capitalista e di vita degli operai occidentali, ma anche quelle del resto del pianeta, anch’esso già capitalista).

    Tornando a questi nuovi mercati, essi per “funzionare” e per non esaurirsi subito, sotto la spinta della crisi sovrapproduttiva e della concorrenza sempre più accanita, che fa precipitare ulteriormente la caduta del saggio del profitto, hanno avuto quasi sempre e comunque bisogno di una ulteriore e più robusta iniezione di droga per trovare “nuovi sbocchi” (e questo spiega anche perché poi nessun boom economico dalla fine degli anni ’60 si è più riprodotto nel mondo), e solo attraverso ciò si sono impadroniti dei vecchi che oltretutto già non funzionavano più a quel livello di indebitamento … e così di seguito, una droga tira l’altra ed a livelli sempre più sostenuti, fino a che la crisi ha cominciato ad interessare non più imprese ma interi Stati del capitalismo mondiale, anzi interi blocchi imperialisti. Altrimenti come si spiegherebbe la caduta del blocco dell’Est all’inizio degli anni 90?. Ma ciò non è bastato ad interrompere un tale declino, perché l’indebitamento e cioè la droga mercantile ha continuato ad erodere anche il blocco economico più forte, quello dell’Ovest. Così anche Stati centrali ed economicamente forti, sono stati infine definiti insolventi dagli stessi indicatori economici della borghesia. La borghesia mondiale è arrivata oggi ad un punto tale che non può più permettersi una tale droga economica, ma come un drogato senza di essa non riesce a vivere, sempre che la sua si possa chiamare vita. E sta proprio qui il problema.

    1) Un aneddoto storico: Negli anni ‘30 di fronte alla crisi economica scoppiata nel 29, John Maynard Keynes, nelle varie riunioni che si facevano su tale argomento, sosteneva che un possibile rimedio per dare solvibilità alla domanda effettiva non più adatta, consistesse in un intervento pubblico nell'economia con misure di politica fiscale e monetaria, per garantire attraverso un’occupazione maggiore nuovi sbocchi alla domanda. Notando che tali misure esprimevano un netto contrasto con la teoria economica neoclassica e liberista, qualcuno, a giusto titolo, lo apostrofò dicendogli che così si barava proprio sulla legge del valore e che addirittura una tale politica, se pur potesse apportare momentaneamente dei benefici all’economia, non ne avrebbe garantito il futuro. Ma lui, Keynes, rispondeva: si è vero, ma noi in quel futuro probabilmente non ci saremo!

    Invece, aggiungo io, noi ci siamo in pieno!
     
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42 replies since 21/9/2011, 11:53   1376 views
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