Napoli Oltre

1. Sulla questione dei privilegi, dei disagi e della collocazione di classe

Napoli 7 e 8 maggio 2011 - weekend di incontro e di confronto

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.  
    .
    Avatar

    Member

    Group
    Administrator
    Posts
    874
    Location
    napoli

    Status
    Offline
    1. Sulla questione dei privilegi, dei disagi e della collocazione di classe

    1.1 E’ vero che in alcuni settori lavorativi esistono dei privilegi e che ciò rende impossibile parlare di unità tra i lavoratori?
    Nella presentazione fatta alla riunione si insisteva nel mettere in evidenza l’eterogeneità delle spinte da cui ognuno di noi parte alla ricerca di una identità in questa società. Sì, perché tra le altre cose uno degli elementi che caratterizza il periodo attuale è una certa spersonalizzazione, una mancanza di identità sociale, un sentirsi soli tra milioni di altri individui. E questa eterogeneità si è puntualmente manifestata in una serie di interventi e in una discussione particolarmente interessante sui privilegi, veri o presunti, che alcuni lavoratori posseggono in questa società, ma anche sui loro disagi e sofferenze patiti per chiedersi alla fine se ci potesse essere una identificazione tra tutti questi elementi come appartenenti alla stessa “classe” o se occorresse dare importanza a queste differenze, a questi “privilegi”.

    La discussione su questo punto è stata innescata da un primo intervento in cui chi parlava sosteneva di essere una privilegiata per il fatto di avere un posto di lavoro e di non avere l’affanno di assicurare un futuro a dei figli che non aveva e ancora di potersi permettere di pagare un medico, mentre invece c’è chi non ci riesce perché sta peggio. Ma nonostante ciò questa persona faceva presente il profondo disagio avvertito e si chiedeva se si poteva considerare una proletaria come altri o se non fosse, come le sembrava di essere, una piccolo-borghese. Lei stessa si chiedeva come fosse possibile arrivare all’unità sociale se esistono queste divisioni. D’altra parte in lei erano fortemente presenti tutte le angosce del momento quando ricordava come negli anni ’30, dopo la grande crisi del 29, c’era la speranza che le cose potessero cambiare, mentre adesso lei non vedeva quale potesse essere l’alternativa. La visione del mondo attuale era di un sistema distruttivo per gli esseri umani ma non per sé stesso, un sistema che non permette cambiamenti, neanche a livello ideale. Dove non esisterebbero neanche modelli alternativi in cui porre qualche speranza. Un sistema in crisi profonda non solo a livello economico ma anche a livello dei valori, che comporterebbe per le popolazioni dei paesi privilegiati una crisi di ideali e quindi la mancanza di speranza in un’alternativa.

    Molti sono stati gli elementi forniti da altri partecipanti per inquadrare gli argomenti sviluppati precedentemente in un quadro di comprensione diverso. In questi interventi è stato anzitutto ricordato che chi si considera un privilegiato è comunque una persona che fatica per guadagnarsi di che vivere e che si deve perciò rigettare il senso di colpevolizzazione che si cerca di far passare per il fatto di avere un posto di lavoro, anche perché i giovani purtroppo sono sempre più a carico dei cosiddetti “privilegiati”. Ci sono, è vero, lavoratori che non avvertono forti disagi economici, come si diceva prima, ma a fronte di quale stress quotidiano prodotto da doppi lavori, marito e moglie che lavorano, straordinari strappati in ogni occasione. E tutto questo proprio, come diceva uno dei presenti, per far fronte alla situazione dei figli che sono destinati ad un’esistenza di precarietà. Più in generale ci dobbiamo liberare dall’idea che dobbiamo accontentarci perché c’è chi sta peggio di noi. Dobbiamo rovesciare la questione. L’umanità ha sviluppato durante gli ultimi due secoli una tecnologia di incredibile capacità, potremmo stare tutti di gran lunga meglio, occorre dunque non guardare al peggio ma al meglio, perché questa società tende a toglierci sempre di più e a farci tutti più poveri mentre invece avremmo la possibilità di vivere tutti dignitosamente bene.

    In un altro intervento è stato ricordato come il sentimento di separazione tra le centinaia di categorie di lavoratori sia il frutto di una manipolazione cosciente da parte della borghesia fatta per evitare che si percepisca la comune natura dello sfruttamento cui sono tutti sottoposti. A tale proposito è stato ricordato come, in occasione del referendum alla FIAT di Pomigliano, gli impiegati di Pomigliano siano stati insultati per aver votato SI, quando successivamente alla Bertone la stragrande maggioranza dei lavoratori, quindi anche gli operai, hanno votato SI. Che conclusione occorre trarre? In realtà, di fronte ai ricatti si sceglie il male minore. Oggi nessun lavoratore ha certezze o privilegi.

    Ancora sono state ricordate le cosiddette “partite IVA”, che ufficialmente risultano essere degli imprenditori, ma che nel concreto sono dei proletari. Ricordava appunto una di queste “partite IVA” che una volta era un lavoratore dipendente e che poi lo avevano costretto a diventare autonomo, facendo sempre lo stesso lavoro, anzi con rischi maggiori. Questo nuovo rapporto di lavoro aveva imposto inoltre di contrattare ogni anno il reddito, e con un rapporto tra la società ed il singolo lavoratore che mette quest’ultimo in una posizione di assoluta debolezza. Questa è precarietà assoluta, diceva questa “partita IVA”. Infatti questo rapporto di lavoro rende impossibile fare previsioni economiche, sapere se sarà ancora possibile mantenere i propri figli all’università, e così via. Ma c’è di più. E’ un rapporto di lavoro che ti colloca nell’isolamento più assoluto, che può portare alla paura e allo sconforto e ad una competizione al ribasso con gli altri lavoratori.

    E’ stato ancora detto di fare attenzione alle categorie in cui questa società cerca di etichettarci. Una dei presenti era una “casalinga”, ma si sentiva di essere una “proletaria”, pur non avendo alcun rapporto di lavoro e non esercitando alcun lavoro salariato. Diceva infatti questa “casalinga” di sentirsi pienamente parte di questa società e di soffrire comunque tutte le pene che questa società vive; di qui la volontà di battersi per superare le contraddizioni di questo sistema per cambiare le cose.

    1.2 E’ vero che i docenti della scuola possono sentirsi appagati del proprio lavoro? E che questo costituisce un’esclusiva del loro lavoro?
    Un secondo elemento a favore dell’ipotesi dell’esistenza di privilegi in qualche categoria di lavoratori è stato sollevato successivamente a proposito degli insegnanti che avrebbero l’opportunità, la chance di creare qualcosa, in particolare a livello di formazione culturale dei propri studenti. A tale proposito è stato fatto cenno al fatto che il professore, di ritorno a casa, può provare un senso di soddisfazione per il lavoro che ha svolto con gli alunni. L’istruzione, la scuola, è stato detto, sono una cosa diversa da altri settori lavorativi. Il sapere è merce, ma può essere anche altro. E’ possibile fare qualcosa, infondere in loro una consapevolezza.

    A questi argomenti altri hanno risposto riconoscendo il senso di appagamento che dei professori possono avvertire per aver fatto bene il proprio lavoro, ma che questo non vuol dire non essere proletari perché la fierezza per il proprio lavoro può appartenere a tutti i proletari.

    Infatti le cose dette valgono, ad esempio, anche per il personale ospedaliero, che è consapevole di svolgere una funzione sociale fondamentale nel rimettere in sesto le persone ammalate o ferite, per i ferrovieri, che trasportano le merci permettendo alla comunità di poter usufruire del lavoro svolto in altre parti del mondo, e così via. Oggi, purtroppo, il lavoro svolto dalla gran parte dei lavoratori è non solo sfiancante, ma anonimo e ripetitivo, per cui apparentemente non c’è granché da essere fieri. Ma in passato c’è sempre stata una soddisfazione da parte dei lavoratori per il proprio lavoro che non dipendeva tanto dalla sua natura, quanto piuttosto dalla consapevolezza della sua funzione sociale.

    L’essere umano è un essere sociale e trae dallo svolgimento di una attività lavorativa nell’ambito della società un elemento di soddisfazione e di appagamento fondamentali anche per il suo equilibrio interiore. Non è un caso che la disoccupazione e l’incertezza sul proprio futuro siano così fortemente destabilizzanti nei confronti di chi li vive. E non è un caso ancora che recentemente abbiamo assistito ad una serie di suicidi sul posto di lavoro da parte di persone che, avendo perso il posto di lavoro o sentendosi anche solo minacciati su questo piano, avvertono un senso di inutilità, di chi non ha più una funzione nella società.

    Contro l’idea della specificità del ruolo dell’insegnante che avrebbe una certa libertà di sviluppare la cultura presso i giovani, è stato ancora detto che, in un momento di crisi come quello attuale, la borghesia tende sempre più a decapitare questa cultura. Così come si taglia la sanità e qualunque altro settore lavorativo. Di fronte alla crisi la cultura è una merce come tutte le altre. Anche la salute diventa una merce. Pure il pensiero è merce. Tutto è sottoposto al capitale. Se il capitale ha bisogno manda tutti a scuola, altrimenti no, specie in crisi.

    1.3 Vale sempre la distinzione tra borghesia e proletariato oppure oggi possiamo parlare di una separazione tra chi vuole cambiare le cose e chi invece le accetta?
    Un ulteriore punto avanzato nella discussione è se fosse ancora giusto fare riferimento alla categoria sociale di “classe operaia” o “proletariato” come soggetto rivoluzionario o se non si potesse spostare la divisione sociale del mondo fra chi accetta la situazione esistente e chi invece la vuole cambiare perché non l’accetta e non vede prospettive. Ad esempio è stato ricordato che i problemi di degrado dell’ambiente riguardano tutti e non sono inquadrabili immediatamente come problemi di classe. E’ stato anche detto che i termini “proletari” e “classe operaia”, verrebbero modificati oggi anche da Marx. Ciò che andava bene nel 1800 oggi potrebbero intimorire molti. Oggi non abbiamo neanche la prole. Bisogna essere accessibili anche agli altri. La gente continua ad allontanarsi da queste categorie.

    Un diverso punto di vista è stato espresso sostenendo che la società è fondamentalmente divisa tra chi vive del proprio lavoro (in qualsiasi modo sia definito) e chi sfrutta questo lavoro e ne trae profitto. Queste categorie di riferimento non sono mai cambiate nella società capitalista. E nella classe dei lavoratori si intendono inclusi anche i disoccupati che sono funzionali al capitalismo. L’individuazione del proletariato come classe capace di produrre un cambiamento sociale è legata anche al fatto che questo, oltre ad essere la classe sfruttata, è anche la classe che ha in mano le chiavi del funzionamento della società, che produce tutta la ricchezza che sostiene l’umanità intera. Viceversa le categorie basate su soli fattori ideologici, su chi accetta la situazione esistente e chi non l’accetta, non sono adeguate perché, se dovessimo impostare la lotta sulla base di tali categorie definite in un certo momento storico, scateneremmo una lotta fratricida perché ci troveremmo a combattere tanti come noi, sfruttati e sofferenti, ma “contrapposti a noi” solo perché non ancora capaci di opporsi a questa società per paura, perché ricattati, perché illusi. L’auspicio è invece quello di portare tutti gli sfruttati dalla stessa parte, perché l’unità fa la forza, e la forza fa passare la paura.

    E’ stato pure detto che possiamo anche non usare il termine classe operaia, ma l’entità che potrà cambiare la società da chi è costituita se non da quelli che subiscono e soffrono per questa società. Aggiungendo che se è vero, come è stato detto nella discussione, che questa società va avanti non per merito di chi comanda ma di chi lavora, allora cambiamo pure i termini, ma non possiamo rimanere generici su chi può cambiare questa società altrimenti resta solo la “buona volontà”, ma non è questa che può far evolvere la storia o che l’ha fatta evolvere in passato.

    Un successivo intervento ha affermato che dall’insieme della discussione emerge che, anche se ci sono differenze, anche se c’è chi è più sfruttato di altri, ciò che dobbiamo cogliere è che in questa società soffriamo tutti e la radice unica di queste sofferenze è la società in cui viviamo. I proletari hanno la possibilità di liberare tutta l’umanità perché ne hanno non solo la capacità materiale ma anche gli argomenti, che possono convincere una larga parte della popolazione. La questione è solo superare l’isolamento, le divisioni e l’idea che le cose sono inamovibili.

    1.4 Conclusione
    Come già detto, questi sono soltanto alcuni degli elementi usciti dalla discussione, sicuramente quelli più dibattuti. Invitiamo tutti a proseguire sviluppando i quesiti inseriti nei tre precedenti paragrafi:

    • E’ vero che in alcuni settori lavorativi esistono dei privilegi e che ciò rende impossibile parlare di unità tra i lavoratori?
    • E’ vero che i professori di scuola possono sentirsi appagati del proprio lavoro? E che questo costituisce un’esclusiva del loro lavoro?
    • Vale sempre la distinzione tra borghesia e proletariato oppure oggi possiamo parlare di una separazione tra chi vuole cambiare le cose e chi invece le accetta?

     
    Top
    .
0 replies since 21/9/2011, 12:00   65 views
  Share  
.